Il Cantico di frate Sole ottocento anni dopo

 Spiritualità


Il  Cantico di frate Sole

ottocento anni dopo








di Tarcisio Mascia



Sono passati giusto ottocento anni da quando Francesco compose il suo Cantico delle Creature o di Frate Sole. Infatti, secondo la testimonianza concorde di Tommaso da Celano e di altre fonti biografiche, Francesco compose il Cantico negli ultimi anni della sua vita (più precisamente nei primi mesi del 1225), quando era gravemente malato, sofferente d'occhi tanto da non sopportare la luce del giorno, e costretto all'oscurità di una celletta di stuoie costruita per lui presso San Damiano. 


Durante una notte insonne, le sofferenze fisiche e il grave fastidio dei topi che infestavano la cella indussero Francesco a pregare: «Signore, vieni in soccorso delle mie infermità, perché io abbia la forza di sopportarle con pazienza!». E una voce interiore lo rassicura: «Fratello, rallegrati e sii pieno di giubilo nelle tue infermità e tribolazioni, perché da questo momento puoi ritenerti così sicuro come se fossi già nel mio regno». 

Al mattino Francesco racconta festante ai suoi compagni il dialogo notturno, e conclude: «Perciò voglio, a lode di Lui e a nostra consolazione e a edificazione del prossimo, comporre una nuova Lauda del Signore da parte delle sue creature, delle quali ci serviamo ogni giorno e senza le quali non possiamo vivere, e nelle quali l'uomo offende gravemente il Creatore. E ogni giorno siamo ingrati di una grazia così grande, perché non ne lodiamo come dovremmo Il nostro Creatore e datore di ogni bene. E stando seduto cominciò a meditare e poi a dire: 'Altissimo, onnipotente, bon Signore'» ... (CAss 83: FF 1615; I ed.: 1591-1592). 


Il Cantico di Frate Sole o Cantico delle Creature è considerato il primo testo letterario in volgare. Dalle biografie (soprattutto la Compilazione di Assisi o Legenda Perugina e lo Speculum perfectionis) viene riferito che San Francesco scrisse il cantico in tre fasi: la prima parte sarebbe stata composta dopo la notte tormentata, di grandi sofferenze, in cui il Santo si sentì tentato dal diavolo (CAss 83-84: FF 1614-1616; SpecP 119 120.123 : FF 1819-1820.1823); la seconda parte (i versi 23-27) sarebbe stata aggiunta in seguito ad una disputa tra il vescovo e il podestà di Assisi; la parte finale risalirebbe a pochi giorni prima della morte del Santo. 


Nonostante le apparenze, il testo non è un'opera ingenua e spontanea ma trae ispirazione da alcuni testi del Vecchio e del Nuovo Testamento, in particolare la Genesi, i Salmi, a cui si rifà la struttura parallelistica del componimento, e i Vangeli, precisamente la pagina delle Beatitudini (Matteo 5,3-10; Luca 6,20- 23). Consta di versetti di stampo biblico raccolti in lasse irregolari, dai due ai cinque versi, ed era rivestito di un accompagnamento musicale composto da Francesco stesso, sulla falsariga del canto gregoriano dei salmi. 

Secondo il Paolazzi, il cantico è «una preghiera di lode pensata da Francesco in forma di 'azione liturgica', cioè di atto di culto solenne e universale, al quale l'intera creazione e l'umanità sono invitate a partecipare con l'essere, con la vita e la parola». 

La lingua è il volgare umbro del sec. XII, in cui sono presenti influssi toscani, francesismi e latinismi. 


Il concetto da cui parte San Francesco è che Dio è altissimo, onnipotente, ma anche buono; nessuno è degno di pronunciare il nome del Creatore (vv.1-4), che però può essere lodato in base alle cose visibili da Lui create. 

I tre aggettivi (altissimo, onnipotente e buono) «rappresentano i poli abituali della meditazione di Francesco, che oscilla tra l'abisso misterioso della realtà divina, il suo espandersi nella bellezza e la potenza del Creato, il suo rivelarsi amoroso e misericordioso in Cristo e nei benefici della redenzione» (ivi). 


«A te solo, Altissimo se confano»: a Te solo si addicono la laude, la gloria e l'onore. In effetti per Francesco la lode e la gloria si addicono solo al Signore. 

Francesco inizia con il rivolgere la sua lode agli astri: sole, luna, stelle, dei quali sottolinea la bellezza e l'utilità (vv. 5-11); ne esalta la luminosità e lo splendore con un elenco di aggettivi che mettono in evidenza ogni aspetto positivo delle creature (così il sole viene definito «bello e radiante», la luna e le stelle «clarite e preziose e belle»). 

Passa quindi ai quattro elementi: aria, acqua, fuoco e terra (vv 12-22). 

II vento e ogni variazione del tempo vengono lodati perché danno sostentamento alle creature di Dio; non vengono collegati a tempeste o eventi distruttivi, ma se ne evidenziano solo gli aspetti benefici, necessari per la vita. 

Allo stesso modo si parla dell'acqua, «utile» e «preziosa» e «casta», ma anche simbolo di purificazione (rinvia infatti ai sacramenti del battesimo e della penitenza), e del fuoco, definito «bello e iocundo e robustoso e forte», che riscalda e allieta e, al pari dell'acqua, è simbolo di Dio (suggerendo un riferimento alla discesa dello Spirito Santo sugli Apostoli). 

La terra, ultima tra i quattro elementi che vengono lodati, viene definita al v. 20 «madre». 


A questo punto il tono del cantico cambia e l'inno coinvolge l'uomo, chiamato a unirsi alle altre creature nella lode di Dio. Ma la lode di Dio da parte dell'uomo non può essere accolta se non parte da un cuore riconciliato con i fratelli e con la «infirmitate e tribolazione», senza rìbellarvisi, perché solo così, rispettando la legge divina (v. 30) e imitando Cristo (vv. 23-27), egli conquisterà la beatitudine e il premio divino. 

Infatti, a questo punto Francesco introduce la lode della morte, che chiama sorella (vv. 28-32); di lei afferma che nessun uomo la può evitare e pone l'accento sulla sua positività, in quanto fatto assolutamente naturale; sottolinea inoltre che per coloro che, quando essa sopraggiungerà, si troveranno nelle «sanctissime voluntati» di Dio la morte segnerà il passaggio alla vera vita e alla piena conoscenza di Dio. 

Francesco conclude la lauda esortando a lodare e benedire il Signore e a servirlo con grande umiltà. (vv. 33-34) 


Il «Cantico delle Creature» mette in luce due degli aspetti più importanti della religiosità di S. Francesco: la lode di ogni creatura, anche quella apparentemente più piccola e insignificante, e la celebrazione della loro dignità, che sottolineano l'atteggiamento di estrema umiltà con cui il santo si rapportava al creato, riscontrabile nella sua scelta di vita, fondata sulla povertà e sul ribaltamento della scala dei valori e concepita come imitazione delle esperienze di Cristo. L'invito all'umiltà è espresso in modo chiaro negli ultimi due versi «laudate e benedicite mi Signore e rengraziate e serviteli cun grande umilitate», ma anche nei versi precedenti in cui Francesco si rivolge alle creature chiamandole «fratello» e «sorella», ponendosi così al loro stesso livello. 

La visione positiva della natura deriva dalla convinzione che in essa si riflette l'immagine del Creatore, di cui le creature portano «significazione»; emerge quindi un senso di fratellanza tra l'uomo ed il cosmo profondamente differente da altre tendenze religiose del Medioevo (quella di Jacopone da Todi, per esempio), che rifiutavano e disprezzavano il mondo terreno perché segnato dal peccato. 

All'interno del Cantico, nell'elenco delle cose lodate, ci sono anche delle assenze che non possono essere trascurate e che tuttavia non hanno, a mio avviso, una particolare motivazione. 

Benché San Francesco fosse nato in un periodo storico caratterizzato dall'espansione urbana, dallo sviluppo dei commerci e delle città, nel Cantico non viene lodato nulla che sia frutto del lavoro, dell'intelligenza e dell'impegno dell'uomo. 


Il motivo di questo tipo di mancanza deriva dalla volontà di lodare il mondo naturale in quanto immagine della somma Bellezza e della somma Bontà (cioè di Dio); in questa prospettiva quindi il mondo artificiale, «creato» dall'uomo, non ha nessun valore particolare se non quello di essere un «manufatto» in certo modo spersonalizzato, senza un'identità originaria e senza quel soffio vitale col quale Dio pone in essere le sue creature, manca cioè la sua firma (una contraffazione delle sue opere?): niente comunque da meritare un cenno o un coinvolgimento nel Cantico. 


Padre Tarcisio Mascia 






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