Fra Lorenzo da Sardara: uomo di preghiera, costruttore di presepi, vicino ai poveri e ai sofferenti
Alla scuola della santità
Fra Lorenzo da Sardara
Uomo di preghiera, costruttore di presepi
vicino ai poveri e ai sofferenti
(1919-2016)
di Padre Tarcisio M. Mascia
Sommario: Una scuola di santità – Chi era fra Lorenzo? – Finalmente Cappuccino! – Fra Lorenzo Infermiere – L'esperienza eremitica – L'incontro con Fra nicola.
Una scuola di Santità
È stato detto e scritto più volte che in questa terra di Sardegna, sin dall'arrivo dei primi Cappuccini, c'è stata una fioritura di santità, con epicentro nel convento maggiore di Cagliari, detto di «Buona Cammino» o di «Sant'Antonio di Padova», cui la chiesa e il convento erano stati dedicati. Perciò non possiamo ignorare i numerosi confratelli che si distinsero per santità di vita sia nella Provincia Calaritana sia in quella Turritana. Alcuni di loro hanno raggiunto persino la gloria degli altari: Sant’Ignazio da Laconi (1701-1781), canonizzato il 21 ottobre del 1951; e il Beato Nicola da Gesturi (1882-1958), beatificato il 3 ottobre 1999. Oltre a questi, fra Giacomo da Decimoputzu (1574-1643), fra Nicolò da San Vero Milis (1631-1707), fra Paolo da Cuglieri (1650-1726), fra Nazareno da Pula (1911-1992), tutti Servi di Dio perché è (o era) in corso il processo canonico di verifica della loro fama di santità.
Secondo il Necrologio della Provincia di Sardegna, i frati morti in odore di santità furono una vera folla: ne abbiamo contato ben 117, appartenenti alle due province sarde e vissuti prima e dopo la soppressione del 1866. Non senza ragione, dunque, possiamo dire che nell'Isola si sviluppò una vera scuola di santità, che tuttora continua a dare i suoi frutti e a tener viva la fiamma dell'ideale francescano-cappuccino.
L'ultimo di questi frati santi (ultimo in ordine cronologico) è stato fra Lorenzo Pinna da Sardara (1919-2016). Dalla sua morte sono già trascorsi quasi dieci anni, ma il ricordo di lui e la venerazione della gente non sono venuti meno. La sua figura è associata a una vita di preghiera e ai luoghi dove spesso si ritirava in piena e prolungata solitudine (La Giara, Monte Serpeddì, Monte Lattias, Monte Linas e Monte Arcuentu) per incontrare e ascoltare solo il Signore. È associata anche alle sue molteplici attività (cura dei frati infermi, assistenza ai poveri, ascolto della gente, realizzazione del presepe universalmente noto e visitato), che avevano reso popolare il suo nome.
Chi era fra Lorenzo?
Chi voglia conoscere fra Lorenzo da vicino può farlo agevolmente leggendo alcuni volumetti pubblicati dall'Archivio Fra Lorenzo. Si tratta di «Scritti» di fra Lorenzo, raccolti in quattro quaderni riferibili alle diverse epoche della sua vita. In tali Scritti fra Lorenzo racconta la sua vita in prima persona. Insieme, essi costituiscono quasi un'autobiografia.
Le origini: il territorio, la famiglia, la prima infanzia. Fra Lorenzo era nato a Sardara il 20 dicembre 1919. Sardara era ed è tuttora un grosso centro del Medio Campidano, prevalentemente agricolo: il suo territorio si estende tra la pianura del Campidano centrale e le prime colline della Marmilla. La sua storia è molto antica e risale all'epoca nuragica.
Il piccolo Benvenuto – questo il nome di fra Lorenzo prima di entrare in convento e cambiare il nome anagrafico con quello da religioso – guardava certamente con occhi incantati il mondo che lo circondava: un mondo che descriveva, sollecitato dalla scuola o dalla famiglia. Dice che Sardara è «una cittadina» e che «offre un bel panorama». La chiesa parrocchiale è «grande e bella» e c'è anche la chiesa di San Gregorio «che ci attesta l'antica dominazione pisana e la chiesa di Sant'Anastasia che ci attesta la dominazione romana». Nelle composizioni scolastiche è in primo piano la famiglia, descritta nei suoi componenti: «L'ora più bella della giornata nella mia famiglia è quella della sera.» Perché? Perché il babbo ritorna dalla campagna; anche il fratellino ritorna dalla scuola. Poi tutti a cena, che è l'ora in cui ognuno si racconta: il babbo parla della sua vita in campagna; la mamma delle faccende domestiche; e lui, Benvenuto racconta le cose della scuola, delle lezioni della signorina maestra, dei racconti letti, dei riassunti, dei dettati. Conclude dicendo: «Tutto è allegria, tutto è contentezza. Dopo cenato il babbo prende il giornale e legge, poi ci racconta ciò che legge e noi ascoltiamo contenti».
Il piccolo Benvenuto compila anche il suo diario, dove annota varie esperienze personali quali: la raccolta di asparagi («nelle siepi si vedono spuntare i belli asparagi che i bambini in questo tempo colgono con tanto piacere. Anche io ne ho colto… Arrivato a casa li ho contati. Erano 124. Dopo mamma li ha cotti e io li ho divorati tutti…»); la scoperta della campagna; la gioia della domenica; la raccolta delle olive; il ritorno delle rondini. Ma anche la scoperta del bene e del male con le prime biricchinate infantili. Con sincerità riconosce i suoi difetti («fui punito per la mia golosità») e capisce che gli sbagli sono svelati dalla coscienza. Come avvenne quando, rimasto solo in casa, non seppe resistere alla tentazione di prendere, senza permesso della mamma, una bella arancia, dandone poi la colpa al fratellino («Quel giorno la coscienza non era affatto tranquilla»).
L'adolescenza, la «conversione», la chiamata del Signore. La frequenza della scuola elementare mise in evidenza le buone qualità del piccolo Benvenuto. L'insegnante aveva scritto che egli era «un bambino buono, attento, studioso: fa benino in tutto e mi contenta». Fra Lorenzo più tardi scriverà di aver avuto sempre «una grande stima per lei», lodandone le qualità didattiche e la profonda religiosità.
Raggiunti gli undici anni e finite le elementari, il padre «non aveva la possibilità di farmi continuare gli studi come sarebbe stato suo desiderio e anche mio». E così – annoterà fra Lorenzo – «al posto della penna mi mise tra le mani una zappa, e una bisaccia al posto della borsa di scolaro». Fu un passaggio brusco, ma poi si abituò. Benvenuto aveva ormai 14 anni. Annota che fino ad allora si era tenuto sempre lontano dalla Chiesa e dai sacramenti, non pregava e la fede era estranea alla sua vita.
La conversione. Nel marzo del 1934 Benvenuto fu costretto a letto dall'influenza. Durante la sua degenza, una zia venne a trovarlo e gli consegnò un'immagine della Madonna di Pompei, che sul retro conteneva una preghiera. La mise da parte ma poi, annoiato, la prese in mano e recitò la preghiera alla Vergine. Quel che avvenne dopo lo racconterà lo stesso fra Lorenzo. «Tutto il mio essere fu attraversato da un torrente di sentimenti nuovi. Credetti, mi pentii… piansi le offese fatte a Dio… proposi fermamente… feci voto di farmi frate, di quelli che stavano a Sanluri, se fosse stato possibile. Tutto questo in pochi minuti.» Per Benvenuto incominciava una nuova vita. Incominciò a frequentare la chiesa, i sacramenti. Imparò subito le preghiere, il Catechismo e intraprese la lettura della Bibbia che portò a termine in poco tempo. «Sentivo nell'anima un'immensa pace e una gioia traboccante che avrei voluto partecipare a tutti, ma non volevo che gli altri se ne accorgessero. Solo nel febbraio del 1936 confidai il mio proposito di farmi frate a un amico, il quale poi lo disse a mia madre e lei a mio padre». La reazione dei genitori non si fece attendere e una sera, al rientro dalla campagna, lo interrogarono al riguardo: se era vero e per quale altro motivo, e da quando, e mille altre domande, mostrandosi alquanto scettici sulla serietà delle sue intenzioni. Poi, dopo alcune incertezze circa l'istituto nel quale entrare, prese la decisione di farsi cappuccino. La risposta dei Cappuccini di Cagliari arrivò e fu positiva.
Era l'anno di grazia 1936. L'8 settembre, salutati tutti, familiari ed amici, accompagnato dal padre, incominciò il suo viaggio verso il convento dei Cappuccini, sito sul colle del Buoncammino, a Cagliari.
L'ingresso in convento. Eccoli dunque, Benvenuto e suo padre, al convento. Li accolse il P. Sacrista, che subito chiamò fra Nicola perché si facesse carico di accompagnarli a prendere un caffè. Fra Lorenzo ricorda così quel giorno: «Fra Nicola ci accolse con molta gentilezza e rivoltosi a noi disse: Avete indovinato a scegliere oggi, Festa della Natività di Maria SS.ma, per entrare in convento. Ciò è di buon augurio». Furono quindi presentati al Superiore, che era P. Placido da Capracotta, il quale assegnò al giovane una celletta vicino al vecchio chiostro.
A un mese di distanza, Benvenuto scrisse ai suoi una lettera per informarli del suo stato: stava bene di salute ed era felice di avere indossato l'abito di San Francesco, che lo rendeva esternamente simile a lui (si trattava dell'abito senza cappuccio che veniva dato ai probandi). E aggiungeva: «Sono assai felice di trovarmi qui, in mezzo a tanti buoni Padri e Fratelli, lontano dal mondo e vicino al Signore, a San Francesco, alla Madonna, a Fra Ignazio e tanti altri». È l'inizio della sua nuova vita.
Finalmente Cappuccino!
La vita religiosa ha sempre inizio, anche giuridicamente, col noviziato, l'anno della prova. In quegli anni la sede del Noviziato era a Fiuggi. Qui fu mandato anche il giovane di Sardara, assieme a un altro candidato sardo. Il 9 luglio 1937 segna la partenza dei due per il S. Noviziato. Di questo convento, il primo della sua vita religiosa, fra Lorenzo rimase entusiasta: entusiasta dell'altitudine (800 m.), della posizione al riparo dai venti, del bellissimo bosco, dell'antico edificio. Qui fra Lorenzo fece la vestizione il 22 luglio 1937. Qui gli fu mutato il nome di Benvenuto in quello di Lorenzo, in onore di San Lorenzo da Brindisi. Scrivendo ai genitori qualche giorno dopo dirà: «In quest'asilo di pace, di preghiera e di santo lavoro trovo la mia felicità, e la grazia del Signore son certo che non mi verrà meno.»
Responsabili della sua formazione durante il Noviziato erano il guardiano, P. Mauro da Guarcino, e il Maestro P. Ermenegildo da Trevi. Fra Lorenzo li indica come «molto severi» e aggiunge che lui, essendo per natura assai timido, provava «davanti a loro un timore reverenziale così spinto da potersi dire piuttosto un Sacro terrore.» Gli fu affidata la cucina, benché la sua attitudine a questo lavoro fosse assai scarsa. Per questa ragione ebbe paura di essere rimandato a casa, «cosa che mi costò notti insonni con molte lacrime e preghiere, specie alla Madonna che aiutò in simili circostanze S. Ignazio da Laconi.» A tranquillizzare il giovane novizio – come lui si convinse - intervenne proprio la Madonna da lui invocata, che gli apparve in sogno. «Amorosamente fissandomi e pian piano sollevandosi davanti a me divenne sì splendente e meravigliosa che mi riempì di tale conforto e fiducia che mi bastò per continuare il S. Noviziato senza timore di essere dimesso.»
Al termine del Noviziato fra Lorenzo fu promosso a pieni voti dalla famiglia religiosa e ammesso alla professione temporanea, che avvenne la mattina del 23 luglio 1938 nelle mani del P. Guardiano. Sua prima destinazione da professo, ancora cuoco a Fiuggi, «lontano dai rumori del secolo e atto per la vita spirituale».
Due anni dopo la professione, fra Lorenzo fu colpito prima da una broncopolmonite, poi da una pleurite, che ne debilitarono fortemente il fisico. «Rimesso appena in piedi, accusai palpitazione cardiaca, affanno e l'impossibilità di fare le scale senza fermarmi alcune volte.» Il medico diagnosticò uno scompenso cardiaco. Il P. Maestro, riferendo al giovane la diagnosi del medico, aggiunse che «dovevo rassegnarmi a una fine prossima». Ma fra Lorenzo non si sgomentò affatto, anzi aggiunge che «mi pareva bello morire a quell'età». Tuttavia non gli furono risparmiate le cure e le precauzioni. La sera del 6 luglio il P. Guardiano gli disse: «Per santa ubbidienza ti comando di guarire e di stare bene!» Fra Lorenzo abbozzò un sorriso e rispose: «Padre sì!». La mattina seguente 7 luglio – annota ancora il Cronista del convento – fra Lorenzo riprese completamente il suo ufficio senza accusare più alcun fastidio. Le visite e gli esami medici successivi confermarono la guarigione di fra Lorenzo. Il Cronista aggiunge: «Abbiamo voluto annotare questi fatti perché ci pare che esorbitino alquanto dalle leggi naturali ordinarie e perché crediamo riscontrare nel religioso virtù non comuni, una completa e sottomessa ubbidienza, una pietà profonda e pienamente sentita.»
Ma ecco che nel novembre 1940 giunse l'obbedienza del P. Provinciale, che destinava fra Lorenzo al convento di Paliano, sempre come cuoco. E fra Lorenzo lasciò Fiuggi per raggiungere la nuova destinazione il 18 novembre. Scrivendo ai genitori qualche giorno dopo il suo trasferimento, fra Lorenzo confessa: «Non vi nascondo che nel lasciare il Convento del Noviziato qualche lagrima è scesa dai miei occhi.»
Erano ormai trascorsi tre anni dalla professione semplice e il diritto canonico prevedeva che a questa scadenza il candidato emettesse i suoi voti perpetui. Per la professione di fra Lorenzo fu fissata la data del 27 luglio 1941. Accolse la sua professione P. Ottavio da Alatri. Si fece una grande festa per l'occasione, alla quale parteciparono amici del convento e autorità.
Circa due mesi dopo la professione, il 3 settembre 1941, fra Lorenzo ricevette un nuovo ordine di trasferimento. Fu chiamato a Roma, al convento dell'Immacolata Concezione di Via Veneto in qualità di cercatore di città.
Nel gennaio del 1942 fra Lorenzo ebbe modo di vedere, presso la Parrocchia di Sant'Ippolito, il film de I Promessi Sposi, diretto l'anno precedente da Mario Camerini. «Era il primo film che vidi nella mia vita e lo seguii con molta attenzione. La scena del P. Cristoforo che si aggirava nel lazzaretto tra gli appestati, ora consolando un moribondo, ora amministrando gli estremi sacramenti ed ora porgendo qualche alimento a chi non poteva prenderlo da sé, mi colpì così profondamente e così vivamente mi impressionò che credetti di vedere la mano di Dio che mi additava quello che io dovevo fare. Tornato in convento riflettei a lungo, pregai e decisi che per quanto dipendeva da me avrei dedicato il resto della mia vita assistendo gli ammalati.» Ma fra Lorenzo non chiese nulla e decise di pregare il Signore affinché si facesse la sua volontà. Alcuni mesi dopo il P. Provinciale, P. Ottavio da Alatri, lo invitò a uscire con lui e andarono al Convento di San Felice-Centocelle, sempre a Roma, sede dell'infermeria. Arrivati, il Padre si rivolse a fra Lorenzo e gli disse: «Ecco, questo sarà il tuo Regno». Fra Lorenzo rimase di stucco: il Signore aveva esaudito la sua preghiera. Il 25 aprile del 1942, alla fine del pranzo, il P. Provinciale gli augurò il buon viaggio e gli raccomandò due cose: prudenza e carità.
Fra Lorenzo infermiere
Fra Lorenzo si ambientò senza difficoltà al nuovo mondo dei vecchi e dei malati, cercando di fare del suo meglio, ma anche rendendosi conto dei suoi limiti e delle sue incapacità professionali. Ne riferì al Provinciale, che gli permise di iscriversi e di frequentare un corso di Infermieri religiosi della durata di due anni presso l'Ospedale dei Fatebenefratelli all'Isola Tiberina. Era l'ottobre del 1942. «Da parte mia – annotò fra Lorenzo – si richiedeva non poco sacrificio, sia per la distanza e sia pure perché ero costretto a studiare di notte, per la mancanza di tempo durante il giorno». Nel maggio del 1944, superati gli esami, gli fu conferito finalmente il Diploma di Infermiere Professionale. Poté così dedicarsi pienamente al suo ufficio di infermiere. Intanto era in corso la guerra con tutti i suoi disastri. «Una mattina, infine, ci svegliammo con gli americani da una parte e i tedeschi dall'altra. Fino a metà della sera i proiettili s'incrociavano sulle nostra teste. A tarda serata i tedeschi furono sospinti al centro di Roma. La guerra era finita». La nuova situazione permise a fra Lorenzo di recarsi finalmente in Sardegna per salutare i propri cari e i confratelli.
Fra Lorenzo aveva un sogno nel suo cuore: diventare missionario. Perciò dal novembre 1945 al giugno 1946 frequentò il corso di Medicina e Chirurgia d'Urgenza presso l'Ospedale di S. Giacomo degli Incurabili, sempre a Roma, che abilitava all'esercizio della professione presso i territori missionari. Ma il 5 dicembre del 1946 venne costituito il Commissariato generale di Sardegna, con il quale i frati sardi ottenevano la separazione dalla Provincia Romana, cui erano stati annessi nel 1930. Di conseguenza, quanti di essi erano stati destinati a conventi del continente ritornarono nell'Isola. Fra Lorenzo in quel momento si sentiva combattuto tra due sentimenti: «l'amore della mia terra, che mi pungeva con forte nostalgia da quando tutti erano rientrati in Sardegna, e l'amore verso gli infermi ai quali mi ero affezionato».
Nel mese di luglio del 1947 fra Lorenzo ottenne di poter rientrare definitivamente in Sardegna e il 9 agosto di quell'anno giunse a Cagliari. Qui resterà per tutto il resto della sua vita.
L'esperienza eremitica
Il rientro in Sardegna offre a fra Lorenzo l'opportunità di intraprendere nuove attività, oltre a quella dell'assistenza ai frati anziani o malati. Nel 1955 fra Lorenzo intraprende la costruzione di un presepe meccanico, che andrà realizzando di anno in anno senza interruzione: sarà un presepe animato, capace di comunicare a tutti, sull'esempio di quello creato da San Francesco a Greccio, il messaggio natalizio. L'allestimento venne fatto prima nella chiesa, poi nel salone attiguo, quindi in un locale realizzato appositamente allo scopo.
Assieme all'allestimento del presepe, fra Lorenzo mette in piedi una farmacia per i poveri (ancora non esisteva l'assistenza sanitaria gratuita), che durerà fino al 1989. Dopo un periodo di intenso lavoro di assistenza ai malati dell'infermeria, il Superiore di allora, P. Bonaventura da Mogoro, invitò fra Lorenzo a riposarsi (a «sparire») in qualche luogo tranquillo. Fra Lorenzo ne approfitta per realizzare un desiderio spirituale, che portava nel cuore: fare un'esperienza eremitica.
San Francesco, è noto, amava la vita eremitica e per questo si ritirava spesso in solitudine, nelle selve o in qualche eremo. Ne conosciamo alcuni: Le Carceri, La Verna, Monteluco, Greccio, Poggio Bustone, Celle di Cortona, Montecasale, ecc. Per i frati che volevano vivere negli eremi, il Santo scrisse anche una piccola regola.
Ispirandosi al Serafico Padre e seguendo il suo esempio, e ricordando le origini dell'Ordine Cappuccino caratterizzate dalla vita eremitica, fra Lorenzo, presentatasi l'occasione, con una certa audacia provò a vivere quella stessa esperienza, prima sulla Giara e poi su altri monti della Sardegna meridionale. Per oltre 30 anni, dal 1971 al 2015, per tre settimane, a partire dalla seconda metà di luglio, si ritirava in totale solitudine lontano dal convento e a contatto con la natura selvaggia.
L'esperienza della Giara nel '71 fu per molti aspetti negativa, soprattutto per il problema dell'acqua, secondo il giudizio di fra Lorenzo, che però non si scoraggiò. Restava il desiderio di ritentare altrove. Nel '72 ci riprovò sui monti di Capoterra, vicino alla chiesetta di Santa Lucia. Fu un luogo molto favorevole alla preghiera interiore. L'anno seguente scelse di recarsi sul monte Serpeddì. Fra Lorenzo scrisse che «il posto era confortevole, acqua corrente a pochi passi, possibilità di passeggiate in pianura, molta e alta vegetazione. Luogo appartato ma vicino alla strada dove si poteva arrivare in macchina… Il posto non mi soddisfece sia perché si trovava molto sotto la cima del monte e sia per la troppa comodità. Per questo motivo decisi di provare in un altro monte».
Nel '74 fu la volta del Monte Lattias, dove incontrò molte difficoltà di accesso, soprattutto il forte e freddo maestrale che durò per parecchi giorni. Non rimase troppo soddisfatto del luogo.
Nel '75 fra Lorenzo lo ritroviamo sul Monte Linas, che con i suoi 1236 m. è la cima più alta della Sardegna meridionale. Ma era totalmente priva di vegetazione. «Tutti i giorni nella mie passeggiate mi affacciavo verso ovest da dove potevo osservare il massiccio di Monte Arcuentu». E qui, sull'Arcuentu, cadrà la scelta dell'anno successivo 1976. «La prima meraviglia fu la presenza di vegetazione ad alto fusto, cosa tutt'altro che facile a trovarsi sulla cima delle nostre montagne». Incomincia così il ritiro sull'Arcuentu. Quella sera «mi distesi supino e cominciai a vedere tante stelle, che diventavano sempre più numerose, sempre più luminose e sempre più vicine. Sembrava che tutte le stelle si fossero date appuntamento sul monte Arcuentu. Forse anche le stelle son curiose, fantasticavo tra me, e si abbassano e vogliono sapere chi è questo strano individuo incappucciato, non si sa se coraggioso o incosciente». Era questo il primo dei tanti ritiri sull'Arcuentu, che continueranno fino al 2015 e che negli anni verranno sempre più strutturandosi e richiamando tanta altra gente desiderosa di gustare con fra Lorenzo il sapore della solitudine e della preghiera. Alla fine di questa pluriennale esperienza fra Lorenzo scriverà: «Un fatto resta: il monte Arcuentu ha tanto inciso nella storia della mia vita che il suo ricordo spesso ritorna spontaneo nella mia mente, e assai spesso nel sogno mi ritrovo tra i suoi alberi e le sue rocce».
L'incontro con Fra Nicola
Fra Lorenzo condivise con il Beato Nicola da Gesturi ben undici anni di vita. E precisava: «in verità a me non interessava vedere miracoli, per me il miracolo era lui, Fra Nicola: c’è forse miracolo più grande dell’amore?».
Nel terzo quaderno dell’Archivio di Fra Lorenzo, pubblicato nel 2019, il protagonista ci accompagna alla conoscenza di Fra Nicola. Sappiamo già del suo primo incontro con lui, avvenuto l’8 settembre 1936, quando venne a Cagliari con l’intenzione di farsi frate. Fra Nicola l'aveva benevolmente accolto e presentato al Superiore. In quel primo periodo di introduzione alla vita conventuale, Fra Nicola cercò di stargli vicino, alleviandogli il disagio iniziale e insegnandogli i primi rudimenti della vita religiosa. «Mi insegnava in modo particolare come si doveva pregare, mi raccomandava l’obbedienza al cuoco e al Superiore e l’osservanza del silenzio secondo le nostre norme». E ancora: «La sua vicinanza mi incoraggiava, la sua parola mi illuminava e il suo esempio mi spronava ad andare avanti con generosità».
Al suo rientro in Sardegna e a Cagliari, nel 1947, a dieci anni da che era partito per il noviziato a Fiuggi, fra Lorenzo si presentò a fra Nicola: «Avevo una lunga barba nera. Non poteva riconoscermi...». Invece: «Lo ricordo benissimo», rispose, «e ora sia il bentornato fra di noi». Fra Lorenzo annota: «Ritrovai un fra Nicola, non dico cambiato, ma molto più maturo, non solo nei tratti fisici, ma soprattutto nel suo modo di essere e di vivere. Le sofferenze della guerra che aveva vissuto in sé e negli altri, specialmente nei periodi dei bombardamenti della città, sembrava lo avessero maturato rapidamente. Mi appariva più silenzioso e più raccolto, più riservato».
Continuando la sua narrazione, fra Lorenzo si sofferma sull’aspetto fisico di fra Nicola, rilevando vari dettagli del suo volto. Dei suoi occhi scrive che erano «due spicchi di cielo, due perle incastonate in un volto d’asceta». «Come potevano, mi chiedevo talvolta, quegli occhi adusi a fissare il grigiore dei selciati delle vie di Castello, della Marina e di Villanova, come potevano riflettere il colore del cielo?... In Fra Nicola gli occhi erano veramente le finestre dell’anima».
Fra Nicola è stato spesso indicato come “Frate Silenzio” per il suo grande amore a questa virtù. Scrive fra Lorenzo: «Dire Frate Silenzio è dire Fra Nicola, come dire Fra Nicola è dire Frate Silenzio... aveva come somatizzato la prescrizione delle nostre Costituzioni... (che) richiamavano all’osservanza del silenzio evangelico, che consiste nel non dire parole che non siano utili o necessarie.». Fra Lorenzo aggiunge: «Il silenzio infatti è radicale rimedio per guarire dall’incontinenza della lingua. Ma è pure via d’accesso al mistero di Dio, perché il silenzio è lo spazio di Dio, davanti al quale si addice il silenzio. Il silenzio è anche lo spazio in cui matura la parola, quella vera, autentica, efficace. Così era la parola di Fra Nicola: maturava nel silenzio, emergeva dal silenzio e perciò illuminava, consolava, infondeva fiducia. Parola desiderata e ascoltata con attenzione.».
Legato al silenzio è anche il tema della preghiera, perché, scriveva fra Lorenzo, «non si può essere uomini spirituali se non si è capaci di fare silenzio». Perciò egli cercava di carpire il segreto della preghiera di fra Nicola. L’osservava mentre pregava e così lo descrive. «Il corpo immobile, il capo leggermente chino, occhi semichiusi, mani conserte appoggiate sul petto o davanti al banco, e lo spirito immerso in uno stato di profondo raccoglimento.». Dopo alcune considerazioni personali, fra Lorenzo scrive: «Credo di poter affermare che fra Nicola non solo era uomo fatto preghiera, ma anche uomo fatto dalla preghiera, cioè costruito dalla preghiera. La preghiera, come intima comunione con Dio, aveva fatto sì che lo Spirito Santo formasse in lui l’uomo nuovo, la nuova creatura.».
Fra Lorenzo si sofferma a descrivere anche altri aspetti della santità di fra Nicola, sui quali qui non è possibile soffermarsi per i limiti di spazio. Fra questi aspetti c’è quello della sua austerità, indicata come «un composto di povertà, di semplicità e di penitenza». Fra Nicola era austero nel vitto, austero nel vestire, austero anche nel riposo. Si pensi al letto su cui dormiva: «Letto non si poteva chiamare quella specie di predella allungata, con alcune tavole sconnesse con sopra una sedia rovesciata che faceva da supporto a un sacchetto contenente alcuni stracci e su cui Fra Nicola posava la testa.».
Infine, fra Lorenzo narra gli ultimi giorni di vita di Fra Nicola con dovizia di dettagli e precisione professionale, lui che l’aveva assistito come infermiere. Soprattutto ha scritto pagine cariche di emozione sugli ultimi istanti e sulle sue reazioni successive alla morte. «La realtà mi afferrò in tutta la sua crudezza: fra Nicola era veramente morto. Mi lasciai cadere sulla sedia lì vicino, piegai la testa fino a toccare il capo di fra Nicola e piansi.». E chiudendo il suo scritto, dopo tanti anni, annotava: «Oggi come allora mi sento un principiante e ho bisogno che fra Nicola continui a insegnarmi come pregare e come amare il Signore.».
Fra Lorenzo muore a Cagliari il 16 dicembre 2016, poco prima dell'inizio della Novena di Natale. Il 20 dicembre, giorno del suo 97° compleanno, viene celebrato il rito delle esequie nella Basilica di Bonaria, a seguito del quale il suo feretro fu tumulato nella Cappella Funeraria dei Cappuccini nell'attiguo Cimitero Monumentale.
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