La soppressione dei Cappuccini in Sardegna

Un tema di cui poco si parla e si scrive: la soppressione
degli Ordini e Istituti religiosi del 1866.
Come vissero i Cappuccini sardi quegli avvenimenti


I giorni dolorosi della soppressione
dei Frati Cappuccini in Sardegna

di Padre Tarcisio Mascia


“Noi preghiamo e speriamo, e ci uniformeremo a quanto Iddio nella sua giustizia e misericordia vorrà disporre sopra di noi, sicuri che un tutto ridonderà a sua maggior gloria, e nostro spirituale vantaggio. Noi siamo, e saremo sempre Cappuccini, soggetti pienamente al capo Supremo dell’Ordine, anche quando l’idra della rivoluzione ne discacci dalle nostre case, e c’inibisca di vestire in pubblico l’Abito nostro Serafico. Noi ci uniremo alla meglio in varie case delle Città e Paesi ov’esiston i nostri Conventi, e continueremo privatamente le nostre pratiche religiose, e la vita comune, finché Iddio placato dalle nostre preci, dalle nostre umiliazioni e sacrifizi non ci restituisca le nostre case, e non ci ridoni all’antica libertà religiosa”.

Così scriveva, nel linguaggio ampolloso e ridondante dell’Ottocento, Fra Luigi Maria da Ghilarza, Ministro Provinciale dei Cappuccini di Cagliari, in una lettera del 26 dicembre 1865, indirizzata al Ministro Generale dell’epoca, P. Nicola da S. Giovanni in Marignano. Il Ministro Provinciale era consapevole della tempesta che stava per scatenarsi sugli Ordini Religiosi presenti nel territorio del Regno d’Italia. Per questa ragione, nella lettera citata, egli chiedeva che gli fossero inviate “le necessarie istruzioni sul modo di regolarci in caso di soppressione, ond’evitare le dispute, e rintuzzare le pretenzioni.”

Egli chiedeva in particolare che gli fossero concesse speciali autorizzazioni circa la destinazione dei conventi e, in particolare, l’autorizzazione a poter disporre provvisoriamente “di qualche somma appartenente alla causa del venerabile Fra Ignazio da Laconi, obbligandoci noi di restituirle al più presto possibile…” E aggiungeva: “Se noi compriamo il Convento Maggiore (di Cagliari) possiamo dire di salvare la Provincia… salvato il Convento Maggiore, noi otterremo facilmente gli altri Conventi in caso di ripristinamento de’ Religiosi in Italia.”

Pie illusioni. Sono passati appena sei mesi, e il Ministro Provinciale invia una nuova lettera in data 14 giugno 1866 (la legge di soppressione è del 7 luglio dello stesso anno) al Superiore Generale in toni ben più preoccupati, in quanto i provvedimenti burocratici per la l’attuazione della soppressione si erano già messi in moto.

Ad una prima ipotesi di concentrazione di tutti i religiosi nel convento di San Benedetto, su sollecitazione delle autorità locali e degli stessi religiosi, segue un provvedimento opposto, che prevede la concentrazione di tutti i religiosi di Cagliari non più nel convento di San Benedetto ma nel Convento Maggiore. Lo sgombero del primo è già in corso. “Egli è un gran male – scrive il P. Luigi – per noi perdere il convento di Noviziato; ma ci reputiamo assai fortunati d’aver salvato per ora il Convento Principale. Noi porgiamo continuamente i più fervidi voti al Signore affinché qui abbiano termine i nostri guai. Fatto è però che la malaugurata Legge di soppressione totale de’ Corpi Morali dicesi essere stata già approvata dalla Camera de’ Deputati, e credesi generalmente che passerà anche al Senato, e così perderemo co’ Conventi la nostra morale esistenza.” E aveva visto bene il Padre.

Alla richiesta di istruzioni, il P. Ministro Generale risponde con lettera del 23 giugno, nella quale indica come regolarsi nelle presenti “luttuose vicende” e nel caso intervenga la soppressione. Ecco le principali decisioni:

1 Nonostante la chiusura dei conventi e la dispersione dei religiosi, la Provincia deve conservare, per quanto possibile, “la sua gerarchia” e “l’unità di spirito”. Perciò:

rimangono in vigore tutte le cariche: Provinciale, Definitori, guardiani;

i frati continueranno a dipendere dai rispettivi legittimi superiori;

“i frati non sono sciolti dal voto di obbedienza ai loro Superiori in quello che sarà permesso dalla loro anormale condizione e dovranno essere disposti ad andare, qualora il bisogno lo richieda, dove il Superiore crederà destinarli”.

2 Dove sarà possibile, i frati dovranno cercare di stare uniti in comunità, con o senz’abito, se sarà consentito dalle circostanze, e procurando, se possibile, di prendere in affitto il convento o altra casa religiosa.

3 I religiosi che si sentissero disposti ad andare nelle Missioni, potranno farne istanza presso il Padre generale.

4 I frati potranno portar via le cose di uso personale.

5 I fondi della Provincia e altre somme pecuniarie devono conservarsi per la Provincia o impiegarsi, se si può, per l’acquisto (o riacquisto) di qualche convento. Il Ministro Provinciale è incaricato di riunire il Definitorio per dar loro conto della situazione e per prevenire ogni sinistro evento.

6 I frati sono dispensati da tutto ciò che non è strettamente compatibile col loro stato.

7 Ai frati è fatto divieto di acquistare beni immobili, meno il caso che acquistassero qualche convento o casa per l’Ordine.

8 Nel caso in cui non venisse permesso ai frati di portare l’abito religioso, è accordata la facoltà, finché dura la necessità, di indossare l’abito clericale con eventualmente qualche segno dell’appartenenza all’Ordine.

La lettera del P. Generale termina con l’esortazione, rivolta a tutti i religiosi, di conservare anche nel secolo lo spirito della Religione, l’amore al corpo cui indissolubilmente appartengono, “mantenendo il sublime stato della religione con una vita edificante, con una condotta al tutto irreprensibile alla maggior gloria di Dio, al decoro del nostro Santo Abito, e alla edificazione dei prossimi”.

La risposta del P. Generale non soddisfa una parte dei frati, che ritiene impossibile, una volta chiusi i conventi, di continuare ad avere lo stesso rapporto obbedienziale con i Superiori. Ritenevano perciò che si dovesse “lasciar libero a ciascuno di unirsi, come, ove, e con chi vuole”. Riserve anche circa la distribuzione del danaro, per la quale era stato deciso di dividere il  tutto in parti uguali tra i singoli religiosi. Pertanto il Provinciale scrive un’altra lettera al Padre Generale, in data 2 agosto, supplicandolo di prendere in considerazione le richieste dei Sardi: facoltà di acquistare, ereditare e testare eventuali beni agli stessi religiosi; dispensa dai digiuni e astinenze previste dalla Regola; facoltà di seguire i Calendari della Diocesi nella quale ciascuno dimorerà.

Il P. Provinciale infine informa lo stesso P. Generale della polemica anticlericale che si era scatenata a seguito della pubblicazione su un giornale laicista della circolare inviata al Provinciale di Sassari e che spinse il Governo a trattenere tutta la corrispondenza dei Cappuccini di Sardegna con i loro Superiori di Roma. Motivo per il quale il P. Luigi fa pervenire la sua lettera a mezzo di certo Don Pacifico Pontanetti, e prega il P. Generale di dirigergli tutta la corrispondenza all’indirizzo del Canonico Giovanni Maria Filia, Vicario Generale dell’Archidiocesi di Cagliari.

Pochi giorni dopo, in data 7 agosto, lo stesso Ministro Provinciale invia al P. Generale un resoconto della seduta del Definitorio Provinciale del 1° agosto. La lettera è sottoscritta dal P. Provinciale e firmata da due soli Definitori (P. Emanuele da Iglesias e P. Brunone da Sinnai). Le due firme mancanti (P. Faustino da Iglesias e P. Giustino da Ussana) indicano le riserve avanzate dai due circa le decisioni prese. I due vengono qualificati nella lettera come “amanti di libertà e indipendenza”.

Il P. Luigi conferma l’adesione alle richieste del Ministro Generale, in particolare: l’impegno a portare sempre l’abito dell’Ordine, non essendo vietato dalla legge; l’obbedienza ai legittimi superiori dell’Ordine; il deposito del danaro, compresa l’eventuale pensione del Governo, nelle mani dei Superiori.

Si avvicinano intanto i giorni dell’abbandono dei conventi e il P. Provinciale, in data 10 dicembre, invia a ciascun convento un’istruzione in vista dell’esecuzione della legge di soppressione. Si tratta di provvedimenti pratici da attuare all’atto dell’abbandono. Ecco un passaggio del testo:

“Appena pertanto riceviamo l’ordine di abbandonare il Convento, la P.V.M.R. si chiamerà uno per volta in stanza i Religiosi Professi, e darà a ciascuno dieci scudi nuovi a titolo di vestiario maggiore, facendo giurare i fratelli Laici di non parlare con alcuno, e intimando ai PP. Sacerdoti sotto pena di sospensione ipso facto incurrenda di non svelar la cosa a veruno, e onerando la loro coscienza dell’obbligo di restituire, nel caso per non tenere il segreto avessero a perdere i Religiosi Professi questa limosina.”

L’anno fatidico sta per concludersi e in chiusura, il 30 dicembre, il Ministro Generale comunica al P. Provinciale i favori concessi ai frati Cappuccini espulsi dai loro conventi da parte del Santo Padre Pio IX nell’udienza del 22 dicembre. Non molti in verità, e tutti di carattere spirituale.



1867, l’anno fatidico dell’abbandono dei conventi

Col sopraggiungere del nuovo anno 1867 ha termine, nel foro dello Stato Italiano, l’esistenza della Provincia dei Cappuccini di Cagliari. Giuridicamente esisterà ancora per alcuni anni come circoscrizione dell’Ordine.

Al momento della soppressione, i Cappuccini della Provincia Calaritana erano presenti nei seguenti conventi: Cagliari S. Antonio, Cagliari S. Benedetto, Quartu, Villasor, Sanluri, Iglesias, Nurri, Oristano e Masullas.

All’indomani dell’esecuzione della legge, P. Luigi ne informava il P. Generale con lettera del 17 gennaio 1867, nella quale illustrava la “luttuosissima situazione” che si era venuta a creare. Il Padre aveva cercato di recarsi in tutti i conventi per dare le ultime disposizioni ai confratelli. “Devo confessare – scriveva – a maggior gloria di Dio che tutti i miei sforzi furono coronati da un esito felicissimo. I Municipi tutti come un solo uomo chiesero ad unanimità la nostra conservazione…”. Intanto egli si diede “a cercar luoghi adatti alle nostre unioni e a rintracciare i mezzi che ne garantissero la conservazione”.

P. Luigi riferisce che il Municipio di Cagliari aveva deciso di mettere a disposizione dei frati l’Ospedaletto, distante appena due minuti dal Convento Maggiore, diviso solo da un muro dal giardino del convento. Inoltre un Signore offrì alcune case e dei terreni di Las Plassas ai frati, dove potessero riunirsi. Il Padre aggiunge di aver preso in affitto a Cagliari anche “un altro gran corpo di case (avente allato una chiesetta pubblica), già da vari lustri ridotto a uso Convento con Dormitori, e altri comodi religiosi, il quale era destinato ad una società di Ecclesiastici per uno stabilimento di Preti secolari vecchi e impotenti, e che poi non se ne fece nulla”.

Arrivarono infine i giorni della consegna dei conventi alle pubbliche autorità. Il Padre riconosce che l‘Agente del Governo “ci trattò con somma cortesia e gentilezza”. P. Luigi fu scelto come rettore della chiesa; come vice-Rettore fu indicato P. Brunone da Sinnai e come cappellano P. Massimo da Siliqua, Segretario del Provinciale. “Per nostra abitazione, e per abitazione di Laici inservienti ci assegnò quasi l’intera metà del Convento colla Chiesa, comodi, refettorio ed una cisterna.

Alcuni sacerdoti e laici furono mandati a Las Plassas, dove furono accolti “rispettosissimamente” dalla popolazione.

Intanto a Cagliari, scrive ancora il Padre, restava sempre “un vacuo da coprire, ed era quello de’ malati, vecchi e impotenti Sacerdoti, Laici e terziari.” Fu mandata una supplica alle autorità del Governo perché venisse loro concesso di stare in una parte del convento, dove ancora si trovavano. Anche negli altri conventi della Provincia erano tuttora presenti tutti i sacerdoti e laici che vi abitavano prima. A qualcuno dei Sacerdoti era stato concesso di andare temporaneamente a servire in alcune Parrocchie in qualità di Vice Parroci, mentre a quattro laici aveva permesso che si ritirassero presso i loro parenti o amici, ma ciò in via provvisoria.

La soppressione aveva creato anche delle difficoltà economiche, evidenziate dalla perdita di intenzioni di messe. Perciò il P. Luigi prega il Padre Generale di inviare applicazioni di Messe. “Ci aiuti, P. Reverendissimo, onde sostenere il nuovo edificio della Provincia di Cagliari che ha innalzato quasi per incanto la pace, la carità fraterna, e lo spirito di unione che Iddio nelle sue misericordie ha voluto ristabilire pria di scioglierla civilmente”.
P. Luigi ricorda al P. Generale che è stato preso in affitto il locale della Provvidenza e gli propone di acquistarlo, dato che occorrono  molti soldi per il restauro e, dovendolo poi restituire al locatore, avrebbe un aumento di valore di 200 scudi. Per pagarne il prezzo propone di impiegare i frutti delle somme della causa del Ven. Fra Ignazio. Non sappiamo se la proposta sia stata accolta dal P. Generale.

In altra lettera del 6 maggio, il P. Luigi riferisce al P. Generale che il Municipio ha deliberato di aprire un ricovero di mendicità, destinando all’uopo una parte del Convento Maggiore.
La direzione spirituale del ricovero è stata affidata ai Cappuccini, come pure quella economica, l’assistenza interna e quant’altro occorreva per il buon andamento dell’istituzione. Il tutto sotto la vigilanza di un Ispettore secolare, che viveva nello stesso ricovero insieme ai quattro religiosi che vi erano destinati. Questi però fanno vita comune con gli altri religiosi, con i quali si riuniscono per il pranzo e la cena passando da un una porta di comunicazione lasciata aperta tra le due parti del convento. I religiosi della famiglia sono invece quindici.

Questo nuovo compito, secondo quanto riferisce il Padre, ha suscitato l’ostilità dei massoni, che si sono infiltrati nella commissione esterna, costituita per redigere il Regolamento del ricovero. Col pretesto della ristrettezza dei locali di ricovero, incapaci di accogliere tutti coloro che ne facciano domanda, si va diffondendo la voce che saranno tolti ai frati i locali assegnati come abitazione e persino la chiesa, al cui servizio sarà lasciato un solo sacerdote, che vestirà da prete e, al più, due assistenti laici. E così si è riusciti a togliere ai frati il refettorio e metà della cucina.

Da alcune persone ragguardevoli è stato suggerito al Padre Provinciale di recarsi personalmente dal Re per chiedergli la riapertura del convento e della chiesa di San Benedetto e per la conservazione di quella parte del Convento maggiore, lasciata prima ai frati dallo stesso Governo.

Non sappiamo se la proposta abbia avuto un seguito. Si direbbe di no, visto che nulla accadde di quanto ci si riproponeva.







Commenti

Post popolari in questo blog

Fra Lorenzo da Sardara: uomo di preghiera, costruttore di presepi, vicino ai poveri e ai sofferenti

Il Cantico di frate Sole ottocento anni dopo

Padre Atanasio Piras da Quartu Sant’Elena - Ricordo di un grande studioso