La vita spirituale di fra Paolo Perria
La vita
spirituale di fra Paolo Perria da Cuglieri
Fra Paolo Perria da Cuglieri
Non è facile scrivere di Fra Paolo Perria da Cuglieri (1650-1726) senza cadere nel cliché che accomuna altre figure di fratelli laici cappuccini, contemporanei e non: si pensi a fra Giacomo da Decimoputzu (1573-1643), fra Nicolò da San Vero Milis (1631-1707), fra Ignazio da Laconi (1701-1781), fra Nicola da Gesturi (1882-1958), fra Nazareno da Pula (1911-1992), ecc. Pur vissuti in epoche diverse, furono tutti fratelli laici, tutti senza cultura, tutti questuanti, tutti invocati come taumaturghi: figure di frati umili, semplici, sempre immersi in preghiera e attenti e vicini ai più poveri e sofferenti. Al punto che, date a parte, la biografia dell’uno potrebbe attribuirsi indifferentemente anche a ciascuno degli altri. E non solo in riferimento alla nostra isola. Infatti un gran numero di santi e beati cappuccini sono molto somiglianti ai nostri sardi sopra citati: si pensi a San Felice da Cantalice (1515-1587), San Crispino da Viterbo (1668-1750), Beato Tommaso da Olera (1563-1631), San Francesco Maria da Camporosso (1804-1866), San Felice da Nicosia (1715-1787), San Corrado da Parzham (1818-1894), ecc. Ma al di là degli elementi condivisi, ciascuno di loro ha una sua identità e una storia che lo distingue dagli altri e che connota quindi anche la sua vita spirituale.
Di
Fra Paolo Perria diciamo innanzitutto che fu figlio del suo tempo, il Seicento,
che, se per l’Europa fu ritenuto le “grand
siècle” o “el siglo de oro”, per
la Sardegna fu nondimeno un secolo buio e travagliato, segnato da numerose
calamità, quali carestie e pestilenze, tali da portare l’Isola al crollo
economico, morale e demografico, determinando un generale impoverimento della
popolazione. Fra Paolo in questo contesto, non certo privilegiato, fu a
contatto di tante piaghe sociali, che da lui avrebbero invocato attenzione e conforto.
Fra
Paolo era di Cuglieri e trascorse quasi tutta la sua vita, tranne la parentesi
del noviziato a Ozieri (un anno) e un altro anno a Bosa, nel suo paese natale,
in regione Montiferru. Località amena per la sua campagna ricca di oliveti e di
paesaggi suggestivi. In questa cornice crebbe il piccolo Sebastiano (questo il
nome di battesimo di fra Paolo). Nella campagna silenziosa maturò anche il suo
amore alla solitudine e al silenzio, condizione indispensabile per addentrarsi
nella contemplazione di Dio. E forse fu questo anche lo scenario nel quale
apprese l’amore alla preghiera, base di ogni vita spirituale. Il silenzio della
campagna e il fascino della natura suscita nel cuore di ciascuno stupore e
gratitudine e spinge l’animo a rivolgersi a Dio e a stare alla sua presenza. Se
all’età di 22 anni Fra Paolo entra in convento, credo che si possa dire, di
quegli anni trascorsi in campagna, che furono il suo apprendistato della
preghiera. E furono anche gli anni in cui maturò la sua vocazione alla vita
religiosa. La presenza di un convento e di una comunità di frati cappuccini a
Cuglieri, da lui probabilmente frequentati assiduamente, determinarono anche
l’orientamento successivo della sua vita.
Nel
1672 il giovane Sebastiano chiese e ottenne di diventare frate cappuccino.
Bussò al convento di Ozieri, dove aveva sede il noviziato. E qui la sua
vocazione fu vagliata e positivamente valutata. Vestì l’abito cappuccino, gli
fu dato il nuovo nome di fra Paolo e iniziò il suo cammino nella vita
religiosa. Alla scadenza dell’anno fu ammesso alla professione temporanea.
L’Angotzi scrive che “Paolo diventò in
breve immagine di Cristo”: a questo tendeva infatti tutta la formazione del
noviziato e del periodo successivo. Come San Francesco, anche il novizio doveva
diventare, con l’aiuto della Grazia, un “altro
Cristo”. Aggiunge l’autore citato che “nel
chiostro la vita di Paolo… fu tutta intesa ad esercitarsi in ogni maniera di
virtù, massime nell’assiduità e perseveranza dei rigorosissimi digiuni e di
penitenze asprissime… ubbidientissimo ai superiori fino allo scrupolo… passava
i giorni e le notti nella preghiera continua, nelle profonde divine
meditazioni…”.
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