Natale in corsia
Natale in corsia
È la
prima volta che mi capita di trascorrere il Natale in corsia, più precisamente
nel Policlinico Universitario di Monserrato, dove mi trovo da ormai quattro
mesi con l’incarico di cappellano, insieme al confratello P. Giuseppe Carrucciu.
Si tratta di un incarico che mai avevo immaginato di svolgere in passato.
Dunque, eccomi qui, con nell’animo i sentimenti più diversi, ma col desiderio
di servire i fratelli malati, pur con i miei limiti umani e la mia inesperienza.
In
questo ospedale, dove convergono malati da ogni parte dell’Isola ma anche tanti
extracomunitari, provenienti soprattutto dall’Africa, passerò quest’anno il mio
primo Natale. Già da qualche giorno sono apparsi in corsia i primi segni
natalizi: niente di speciale, ma certamente espressione di un’affezione antica
a questi segni che ogni anno puntualmente incrociano il cuore di tante persone.
Il
mio ufficio comporta che mi rechi in tutti i reparti dell’ospedale per un
saluto a ciascuno dei degenti, per un sorriso, un conforto, un incoraggiamento
e, soprattutto, per accompagnare ognuno di loro in una rilettura cristiana
della malattia. In questo contesto e nel rispetto della libertà di ciascuno,
cerco di rinvigorire o alimentare con i sacramenti la fiamma della fede.
Mi
ha rallegrato il cuore nei giorni scorsi vedere spuntare in corsia i primi
segni natalizi: qualcuno del personale, nei ritagli di tempo, ha incominciato a
tirar fuori l’alberello e le statuine del presepio. Quasi miracolosamente
l’atmosfera è cambiata: un’aria di festa e di attesa si è diffusa in tutte le
corsie, riscaldando i cuori e illuminando il volto di ciascuno. E così, quasi
per contagio, in tutti i reparti si è messo in moto questo impegno a esprimere
visivamente l’attesa del Natale. Ogni reparto ha messo fuori il suo albero e
realizzato il suo presepio, esprimendo così la volontà di ritornare a quei
valori che il Natale ogni anno viene a ricordarci.
Ogni
reparto è anche una famiglia, pur nella diversità dei compiti: ci sono i
medici, gli infermieri, gli operatori sanitari, gli addetti alle pulizie… e poi
naturalmente i malati (detti anche pazienti
o degenti). Si distinguono gli uni
dagli altri anche per la divisa che indossano e soprattutto per i loro colori:
bianco, azzurro, verde, fucsia, ecc. Ci sono anche i giovanissimi tirocinanti,
fieri ed entusiasti di poter finalmente prestare la loro opera. In un certo
senso anch’io sono come loro: un principiante, relativamente al mio ufficio.
Con curiosità e simpatia li osservo tutti, quasi uno per uno, ogni volta che
entro in reparto. Mi incuriosisce l’atmosfera: noto se c’è tensione (quando ci
sono molte urgenze, chiaramente c’è preoccupazione, e si corre di qua e di là…)
oppure se tutto è tranquillo: basta un colpo d’occhio per fotografare la
situazione.
Passare
il Natale in ospedale non è oggetto di desiderio da parte di nessuno: né del
personale né soprattutto dei malati. Perciò in questi giorni colpisce il vedere
molte stanze vuote: tanti malati – almeno quelli che sono in condizioni di
salute non gravi - hanno lasciato l’ospedale per trascorrere le feste natalizie
in casa con i propri cari. Gli altri invece sono qui, rassegnati ad una
condizione che non hanno scelto, ad un Natale molto diverso dagli altri della
loro vita precedente: un Natale fatto di profonda solitudine, se non li
soccorre la luce della fede. A costoro cercherò di essere più vicino col
sostegno del sorriso e soprattutto con la preghiera di affidamento di ciascuno
al Signore che viene.
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