Schede liturgiche
La Santa Messa
La
Santa Messa è la celebrazione più importante nella Chiesa Cattolica. Tuttavia
spesso non è così semplice seguirne lo svolgimento. Queste schede vogliono
contribuire ad una comprensione migliore e più corretta del mistero Eucaristico
così come viene celebrato nelle nostre chiese.
1.
Come prepararsi alla celebrazione?
Solitamente
chi è invitato a un incontro da altre persone, si prepara a questa visita. Per
lo più ci si chiede quale vestito indossare, che cosa prendere da portare con
sé e come presentarsi nel modo migliore, per fare insomma bella figura.
Naturalmente
la questione prioritaria riguardo
all'Eucaristia non è come io devo vestirmi, ma come io devo prepararmi. Io devo anzitutto rendermi conto che qui
io sono invitato da Qualcuno, cioè non da uno qualunque ma dallo stesso Signore
e che devo riflettere su come presentarmi.
È
per esempio una buona cosa quella di dare
prima uno sguardo ai testi delle letture che saranno proclamate nella celebrazione.
Un
altro punto importante è questo: io devo arrivare
in orario per non perdere niente della celebrazione eucaristica. Anche
quando io sono invitato a pranzo dagli amici, io cerco di arrivare in orario, e
non all'ultimo momento e rischiare di fare brutta figura.
Allo
stesso modo quando facciamo visita a
Gesù. Quando entro nella sua casa, è bene che io rivolga lo sguardo al Signore. Nel tabernacolo
è presente il Santissimo; perciò si
usa fare una genuflessione quando si
entra e contemporaneamente ci si segna:
io so che sto entrando nella casa dell'Altissimo e che quindi io sono alla sua
presenza.
All'ingresso
della chiesa si trova per lo più l’acquasantiera.
L'acqua santa ricorda il battesimo
col quale siamo diventati cristiani. Segnandoci
con l'acqua santa, noi ci ricordiamo, con questo semplice gesto, di
appartenere a Gesù, che cioè siamo stati
battezzati nel nome di Dio Trinità. In un certo senso, noi diamo la mano al
padrone di casa e lo salutiamo.
È proprio così: quando entro in chiesa e prendo il mio posto, saluto il Signore. Mi
metto alla sua presenza, mi rendo conto di doverLo incontrare nel corso della
celebrazione e gli dico quel che c'è nel
mio cuore.
Anche
il silenzio prima della celebrazione
ha un grande significato rispetto
alla confusione e al chiasso che spesso accompagna il resto della giornata.
2. Rito di introduzione
Quando l'assemblea si è radunata, il
sacerdote con i ministri si reca all'altare, mentre si esegue il canto
d'ingresso. Giunto all'altare, il sacerdote con i ministri fa la debita
riverenza, bacia l'altare in segno di venerazione, poi con i ministri si reca
alla sede. Se non ha luogo il canto, l'antifona d'ingresso è letta o dal popolo
o dal lettore, o dallo stesso sacerdote dopo il saluto ai fedeli. (Dal
Messale Romano)
L'inizio
della celebrazione della messa è segnalato di solito dal suono della campanella. Al segnale i presenti si alzano in piedi per la celebrazione. Il sacerdote e gli
inservienti vanno all'altare.
L'ingresso richiama il cammino dell'uomo
verso la sua mèta che è Dio. Il
sacerdote bacia l'altare, simbolo di Cristo, esprimendo così la sua
venerazione.
L'altare è un segno di Gesù Cristo, che
era pronto ad offrirsi in sacrificio per gli uomini. L'altare è come un anello
di congiunzione fra Dio, il Padre e l'uomo.
Il segno di croce significa che io
appartengo totalmente al Signore. Tutto il mio corpo sta sotto la sua
benedizione. Tutto accade nel suo nome. Il
segno di croce si può fare in due modi: nel primo modo si porta la mano destra sulla fronte, sul petto, sulla
spalla sinistra e poi sulla destra; nel secondo
modo, ci si fa un segno di croce sulla fronte, sulla bocca e sul petto col
pollice della mano destra. Si usano entrambi i modi per fare il segno di croce.
Chi si mette a pregare con le braccia
distese, constata che l'uomo ha un corpo a forma di croce.
Nella
celebrazione eucaristica noi incontriamo direttamente il Signore. Perciò è
importante che ci lasciamo alle spalle
tutto ciò che ci separa da Dio. Se abbiamo commesso qualche peccato, noi
mettiamo come un cuneo tra Dio e noi stessi.
Il
gesto biblico di battersi il petto
deve scuoterci interamente, perché d'ora innanzi ascolteremo la Voce di Dio. Ogni
uomo porta con sé nel servizio divino qualcosa che pesa nel suo animo. Nel
discorso sulla Montagna che leggiamo nel vangelo di Matteo, Gesù avverte: «Se
dunque presenti la tua offerta sull'altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha
qualche cosa contro di te, ascia li il tuo dono davanti all'altare e va’ prima
a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna ad offrire il tuo dono» (Mt
5,23-24).
Tutta
la nostra giornata è orientata naturalmente alla celebrazione eucaristica. In
questo momento del cosiddetto atto
penitenziale, ciò che ci pesa di più della vita quotidiana deve essere
messo da parte. Dio ci accoglie anche quando noi siamo lontani da lui. Questo
si esprime quando il sacerdote ci dice: «Dio
Onnipotente abbia misericordia di noi, perdoni i nostri peccati e ci conduca
alla vita eterna. » La misericordia di Dio è certamente unica e infinita.
3. Il Gloria
Nei
giorni festivi e nelle domeniche l’Assemblea canta o proclama il grande canto
di lode a Dio: il Gloria. Ognuno di
noi è creatura di Dio: il Gloria è
espressione della nostra gratitudine e ci ricorda anche il canto degli angeli
alla nascita di Gesù.
Il Gloria ha anche una lunga storia. Da
centinaia di anni appartiene all’Ordinario della Messa e fa parte dei testi che
vengono solitamente cantati nelle Messe solenni. Nella storia della musica di
chiesa dei secoli passati, il Gloria
è stato musicato da molti e grandi compositori insieme ad altre parti
dell’Ordinario della Messa.
Al
cosiddetto Ordinario della Messa appartengono il Kyrie, il Gloria, il Credo, il Sanctus col Benedictus e l’Agnus Dei. Queste parti vengono
solitamente eseguite in canto nei giorni festivi e nelle domeniche.
La
musica nella Liturgia ha un significato essenziale. Dai primi canti che
venivano eseguiti all’unisono, come il Gregoriano,
fino ai canti moderni di oggi, gli uomini hanno sempre portato con sé, nelle
celebrazioni liturgiche, il gusto della musica del loro tempo per cantare la
propria lode a Dio.
4. La
Preghiera di Colletta
Dopo
il Gloria ha luogo la Preghiera di
Colletta. La parola Colletta, che
viene dal latino “colligere” (=
raccogliere), è una preghiera che il Sacerdote rivolge al Padre in nome di
tutta la Chiesa. La preghiera “raccoglie”
le intenzioni dell’Assemblea dei fedeli presenti, in particolare l’intenzione
di chi ha dato la sua offerta per la celebrazione della Messa.
5. La
Liturgia della Parola
Nei
giorni festivi e nelle domeniche si leggono due letture, mentre negli altri
giorni una soltanto, tratte sempre dalla Bibbia. Le letture raccontano la
storia dell’alleanza di Dio con gli uomini.
La
prima lettura è tratta per lo più dall’Antico Testamento, ma nel Tempo Pasquale
è presa dagli Atti degli Apostoli.
La
seconda lettura invece è normalmente presa dalle lettere del Nuovo Testamento o
dall’Apocalisse di San Giovanni.
Nelle
domeniche la prima lettura fa riferimento spesso al testo evangelico e contiene
un racconto parallelo, tratto dall’Antico Testamento.
Prima
del Vangelo viene cantato o proclamato l’Alleluia
(in ebraico “Alleluia” vuol dire: “Lodate
il Signore”). L’Alleluia introduce al punto culminante della liturgia della
Parola: il Vangelo (ma, durante il
Tempo Quaresimale, l’Alleluia non si canta).
A
questo punto, mentre viene proclamato il Vangelo, tutti stanno in piedi per
indicare l’attenzione alla Parola di Dio. Gesù viene a noi col suo Spirito e
col suo vangelo per seminare la sua Parola nella nostra vita.
Noi
vogliamo accogliere il vangelo con la nostra mente, proclamarlo con la nostra bocca e custodirlo nel nostro cuore.
Segni
particolari come i candelieri, il bacio del libro o l’incenso danno
risalto all’importanza della vita di Gesù, Figlio di Dio, e della sua Parola.
6.
L’Omelia
L’Omelia
serve per attualizzare la Parola di Dio proclamata e ascoltata dai fedeli
presenti. Essa deve aiutarci a trasferire il vangelo nella vita di tutti i
giorni. Il celebrante deve con la sua parola rafforzare la fede nel cuore dei
fedeli, rendere più vicina la Parola e dare conforto.
Anche
Gesù ha predicato negli anni del suo ministero (Lc 4,20ss), e così gli Apostoli
(Atti 13,15ss).
Spesso l’Omelia è una pietra d’inciampo per molti
cristiani, che, per ragioni le più diverse (astrattezza, lunghezza, tono e
volume di voce, ecc.), ritengono di doversi dispensare dalla Messa domenicale.
Nella
sua Esortazione Apostolica “Evangelii
Gaudium” Papa Francesco ha dedicato alcune pagine proprio all’Omelia (nn.
135-144), indicata come “pietra di paragone per valutare la vicinanza e
la capacità d’incontro di un Pastore con il suo popolo” e ricorda che essa si situa in un contesto
liturgico e che è “il momento più alto
del dialogo tra Dio e il suo popolo”. (n. 135).
Il Papa precisa che l’Omelia “non può essere uno spettacolo di
intrattenimento” (n. 138), cosa che invece, purtroppo, talvolta succede: i social network spesso mettono in circolo
nella rete dei video in cui il l’azione liturgica, in particolare l’Omelia, è
trasformata in uno spettacolo di intrattenimento. Ancora. Dice il papa che
l’Omelia deve essere breve e “non deve
sembrare una conferenza o una lezione”. E aggiunge: “Se l’omelia si prolunga troppo, danneggia due caratteristiche della
celebrazione liturgica: l’armonia tra le sue parti e il suo ritmo” (n.
138).
Il documento del Papa dà alcuni suggerimenti al
Celebrante per la sua Omelia, che deve “favorire
e coltivare mediante la vicinanza cordiale del predicatore, il calore del suo
tono di voce, la mansuetudine dello stile delle sue frasi, la gioia dei suoi
gesti” (n. 140). E mette in
guardia anche dallo stile moralistico, che caratterizza molte Omelie: “La predicazione puramente moralista o
indottrinante, ed anche quella che si trasforma in una lezione di esegesi,
riducono questa comunicazione tra i cuori che si dà nell’omelia e che deve
avere un carattere quasi sacramentale: «La fede viene dall’ascolto e l’ascolto
riguarda la parola di Cristo» (Rm 10,17).
Nell’omelia, la verità si accompagna alla bellezza e al bene. Non si tratta di
verità astratte o di freddi sillogismi, perché si comunica anche la bellezza
delle immagini che il Signore utilizzava per stimolare la pratica del bene.” (142).
Infine il Papa suggerisce la sintesi: “La sfida di una predica inculturata consiste
nel trasmettere la sintesi del messaggio evangelico, e non idee o valori
slegati. Dove sta la tua sintesi, lì sta il tuo cuore. La differenza tra far
luce sulla sintesi e far luce su idee slegate tra loro è la stessa che c’è tra
la noia e l’ardore del cuore. Il predicatore ha la bellissima e difficile
missione di unire i cuori che si amano: quello del Signore e quelli del suo
popolo” (n. 143).
7. La
Professione di fede
Dopo
l’Omelia segue la Professione di fede con la recita del Credo. Dicendo il Credo noi rinnoviamo la nostra fede battesimale.
Noi
confessiamo la nostra fede, quella fede che unisce miliardi di uomini e perdura
lungo i secoli. Per professare la nostra fede di solito utilizziamo due
formulari, chiamati “simboli”: il “Simbolo Apostolico” (più breve), detto
così perché risale all’insegnamento degli Apostoli; e il “Simbolo Niceno-Costantinopolitano”, ricavato dai testi dei due
Concili ecumenici di Nicea (325 d.C.) e di Costantinopoli (381 d.C.). In Italia
solitamente usiamo quest’ultimo.
Chi
fa la sua professione di fede, fa parte di una lunga fila di uomini, che ha
fiducia in Dio e a Lui consegna la propria vita.
È
bene rileggere spesso il Credo e riflettere attentamente sulle singole frasi
che lo compongono.
8. La
preghiera dei fedeli
È detta anche preghiera universale, perché in essa
si prega per tutti gli uomini, nel seguente ordine: per le necessità della
Chiesa, per i governanti e per la salvezza di tutto il mondo, per tutti quelli
che si trovano in particolare necessità, per la comunità locale. Il sacerdote
invita a pregare con una semplice monizione e conclude con un’orazione.
9.
L’Offertorio
I
doni necessari per la celebrazione eucaristica sono il pane e il vino. Gesù
stesso, all’ultima Cena, ha stabilito che la celebrazione si facesse col pane e
col vino.
Quando
i doni sono portati all’altare, tutti siedono. A questo punto, il sacerdote solleva
leggermente la patena (è il piattino che si trova sopra il calice contenente
l’ostia grande) con il pane e pronuncia la preghiera seguente: “Benedetto sei tu, Signore,
Dio dell'universo: dalla tua bontà abbiamo ricevuto questo
pane, frutto della terra e del lavoro dell'uomo; lo presentiamo a te,
perché diventi per noi cibo di vita eterna”. I fedeli rispondono: “Benedetto nei
secoli il Signore.”
Quindi
il sacerdote versa alcune gocce d’acqua nel calice del vino, segno col quale si
ricorda che in Gesù Cristo sono unite la natura umana e la natura divina.
Sull’altare
è disteso un piccolo telo bianco, il corporale, sul quale stanno il
calice e la patena con l’ostia. Il corporale deve raccogliere più tardi i
frammenti delle ostie, nei quali è presente Gesù stesso, affinché non vadano
perduti.
Dopo il pane, il sacerdote offre il vino contenuto
nel calice, pronunciando la preghiera di lode e di ringraziamento al Padre: “Benedetto sei tu, Signore, Dio dell'universo:
dalla tua bontà abbiamo ricevuto questo vino, frutto della terra, e del lavoro dell'uomo;
lo presentiamo a te, perché diventi per noi bevanda di salvezza”. I fedeli rispondono:
“Benedetto nei secoli il Signore”.
dalla tua bontà abbiamo ricevuto questo vino, frutto della terra, e del lavoro dell'uomo;
lo presentiamo a te, perché diventi per noi bevanda di salvezza”. I fedeli rispondono:
“Benedetto nei secoli il Signore”.
La
preparazione e l’offerta dei doni termina con la lavanda delle mani e la
preghiera: “Lavami, o Signore, da ogni colpa e purificami da ogni peccato”.
Queste ultime parole sono tratte dal salmo 51. Il sacerdote chiede che tutto
ciò che costituiva un impedimento, gli venga adesso cancellato. La lavanda
delle mani è un segno espressivo: molte cose ancora potrebbero contaminare le
sue mani e il suo cuore, perciò egli prega di poter essere purificato da tutto.
A questo punto, quando ormai i doni del sacrificio
sono stati offerti, il sacerdote può rivolgersi ai fedeli con la piccola
esortazione alla preghiera: “Pregate,
fratelli, perché il mio e vostro sacrificio sia gradito a Dio, Padre
onnipotente”. E i fedeli rispondono: “Il Signore riceva dalle tue mani questo
sacrificio a lode e gloria del suo nome, per il bene nostro e di tutta la
sua santa Chiesa”.
Segue la Preghiera sopra le offerte, preghiera
che cambia di celebrazione in celebrazione. Ancora una volta sono presentati a
Dio il pane e il vino, e per lo più si chiede anche che i fedeli, come le
offerte sull’altare, siano trasformati e rinnovati nel cuore e nella vita.
Durante la preparazione
delle offerte spesso viene fatta anche una raccolta di offerte in danaro per le
opere di carità della Chiesa e per le necessità concrete della comunità
cristiana.
L’offerta dell’assemblea ha
una lunga tradizione. Condividere è sempre stata una grande virtù cristiana e
indica che sull’altare deponiamo anche qualcosa di noi stessi.
10. La preghiera eucaristica:
Prefazio e Sanctus
Al termine della Preghiera sopra le Offerte, l’Assemblea
risponde con un “Amen”. Quindi il
Celebrante prega a nome di tutti, dando inizio alla Preghiera Eucaristica con la grande dossologia del Prefazio, introdotta dal breve seguente dialogo
con i fedeli: C. Il Signore sia con voi. / A. E con il tuo
spirito. / C. In alto i nostri cuori. / A.
Sono rivolti al Signore. / C. Rendiamo
grazie al Signore, nostro Dio. / A. È cosa buona e giusta.
Subito dopo il
Celebrante prega o canta il Prefazio, al termine del quale viene cantato
da tutta l’Assemblea il Sanctus. Questo testo, derivato dall’Antico
Testamento (Is 6,3; Sl 118,26), dice: “Santo, Santo, Santo, il Signore Dio
dell’universo. I cieli e la terra sono pieni della tua gloria. Osanna nell’alto
dei cieli. Benedetto Colui che viene nel nome del Signore. Osanna nell’alto dei
Cieli.”
La parola “Osanna” era in origine un’invocazione di
aiuto e più tardi, per esempio in occasione dell’ingresso di Gesù in
Gerusalemme, un’acclamazione di gioia.
Il “Sanctus” è anche, come molte altre preghiere della Celebrazione,
una professione di fede. Chi lo canta o lo proclama, sottolinea che Dio è “il Santo e la fonte di ogni santità” e
che a Lui si deve onore e gloria. La sua signoria è, per così dire, la
“qualità” di Dio, e di questa sono pieni il Cielo e la Terra.
Dopo
il Sanctus, ha inizio il momento
centrale e culminante dell'intera celebrazione, la Preghiera eucaristica, ossia
la preghiera di azione di grazie e di santificazione. Il sacerdote invita il
popolo a innalzare il cuore verso il Signore nella preghiera e nell'azione di
grazie, e lo associa a sé nella solenne preghiera, che egli, a nome di tutta la
comunità, rivolge a Dio Padre per mezzo di Gesù Cristo nello Spirito Santo. Il
significato di questa Preghiera è che tutta l'assemblea dei fedeli si unisca
insieme con Cristo nel magnificare le grandi opere di Dio e nell'offrire il
sacrificio. La Preghiera eucaristica esige che tutti l'ascoltino con riverenza
e silenzio. (Praenotanda, n. 78)
Gli
elementi principali di cui consta la Preghiera
eucaristica si possono distinguere così :
a) L'azione di grazie (che si esprime particolarmente nel prefazio): il sacerdote, a nome di tutto il popolo santo, glorifica Dio Padre e gli rende grazie per tutta l'opera della salvezza o per qualche suo aspetto particolare, a seconda della diversità del giorno, della festa o del Tempo.
b) L'acclamazione: tutta l'assemblea, unendosi alle creature celesti, canta il Santo. Questa acclamazione, che fa parte della Preghiera eucaristica, è proclamata da tutto il popolo col sacerdote.
c) L'epiclesi (è l’invocazione dello Spirito Santo sulle offerte, p. es. leggiamo nella preghiera II: “Padre… santifica questi doni con l'effusione del tuo Spirito perché diventino per noi il corpo e + il sangue di Gesù Cristo nostro Signore…”) : la Chiesa implora con speciali invocazioni la potenza dello Spirito Santo, perché i doni offerti dagli uomini siano consacrati, cioè diventino il Corpo e il Sangue di Cristo, e perché la vittima immacolata, che si riceve nella Comunione, giovi per la salvezza di coloro che vi parteciperanno.
d) Il racconto dell'istituzione e la consacrazione: mediante le parole e i gesti di Cristo, si compie il sacrificio che Cristo stesso istituì nell'ultima Cena, quando offrì il suo Corpo e il suo Sangue sotto le specie del pane e del vino, li diede a mangiare e a bere agli Apostoli e lasciò loro il mandato di perpetuare questo mistero.
e) L'anamnesi: la Chiesa, adempiendo il comando ricevuto da Cristo Signore per mezzo degli Apostoli, celebra il memoriale di Cristo, commemorando specialmente la sua beata passione, la gloriosa risurrezione e l'ascensione al cielo (“Celebrando il memoriale della morte e risurrezione del tuo Figlio, ti offriamo, Padre, il pane della vita e il calice della salvezza, e ti rendiamo grazie per averci ammessi alla tua presenza a compiere il servizio sacerdotale.”).
12. Riti di comunione
Al termine della
Preghiera eucaristica (di cui si è parlato nella scheda precedente) hanno
inizio i riti di Comunione. “Poiché
la celebrazione eucaristica è un convito pasquale, conviene che, secondo il
comando del Signore, i fedeli ben disposti ricevano il suo Corpo e il suo
Sangue come cibo spirituale. A questo mirano la frazione del pane e gli altri
riti preparatori, che dispongono immediatamente i fedeli alla Comunione.” (Praenotanda, n. 80). Come è noto, chi si
avvicina all’Eucaristia deve essere in stato di grazia (cioè non aver commesso
dei peccati gravi: in tal caso si richiede che, prima di accostarsi a ricevere
l’Eucaristica, ci si confessi da un sacerdote per riceverne l’assoluzione).
13. La preghiera del Signore: il Padre Nostro
Il Padre Nostro è la preghiera dei figli di Dio. Gesù stesso l’ha insegnata ai suoi discepoli. Essa viene recitata da tutti i cristiani delle diverse confessioni ed è anche in parte contenuta nella preghiera ebraica del “Kaddish”.
Nella Preghiera del Signore noi chiediamo il
pane quotidiano, nel quale noi cristiani scorgiamo un particolare riferimento
al pane eucaristico, e imploriamo la purificazione dai peccati, così che
realmente i santi doni vengano dati ai santi. In questa domanda noi includiamo
anche le persone che ci hanno procurato sofferenza, affinché con l’aiuto di Dio
siamo capaci di perdonare. Questa preghiera unisce fra loro tutte le comunità
cristiane, nessuna confessione esclusa. E si colloca in un momento eccezionale,
perché è la preparazione a ricevere Gesù, che si dona a noi nella Comunione.
Il sacerdote rivolge l'invito alla preghiera,
che tutti i fedeli dicono insieme con lui; ma soltanto il sacerdote vi aggiunge
l'embolismo, che il popolo conclude con la dossologia. L'embolismo, sviluppando
l'ultima domanda della preghiera del Signore, chiede per tutta la comunità dei
fedeli la liberazione dal potere del male.
Il “Padre Nostro” ricorda l’invocazione di
Gesù al Padre (“Abba”, papà). Con questa preghiera intendiamo dire: non abbiamo
una fiducia filiale in Dio Padre.
L'invito,
la preghiera del Signore, l'embolismo e la dossologia, con la quale il popolo
conclude l'embolismo, si cantano o si
dicono ad alta voce.
(Praenotanda, n. 81)
14. Rito della pace
A questo punto il
Celebrante prega per la pace, la pace che viene da Dio nell’Eucaristia. Una
pace che i fedeli si augurano reciprocamente, indicandola con un gesto
significativo come una stretta di mano. “Conviene
tuttavia che ciascuno dia la pace soltanto a chi gli sta più vicino, in modo
sobrio” (Praenotanda, n. 82)
15. Frazione del pane
Il sacerdote spezza il pane eucaristico, con l'aiuto, se è necessario, del diacono o di un concelebrante. Il gesto della frazione del pane, compiuto da Cristo nell'ultima Cena, che sin dal tempo apostolico ha dato il nome a tutta l'azione eucaristica, significa che i molti fedeli, nella Comunione dall'unico pane di vita, che è il Cristo morto e risorto per la salvezza del mondo, costituiscono un solo corpo (1 Cor 10,17).
La frazione del pane ha inizio dopo lo
scambio di pace e deve essere compiuta con il necessario rispetto, senza però
che si protragga oltre il tempo dovuto e le si attribuisca esagerata
importanza. Questo rito è riservato al sacerdote e al diacono.
Il sacerdote spezza il pane e mette una parte
dell'ostia nel calice, per significare l'unità del Corpo e del Sangue di Cristo
nell'opera della salvezza, cioè del Corpo di Cristo Gesù vivente e glorioso.
Abitualmente l'invocazione Agnello di
Dio viene cantata dalla schola o dal cantore, con la
risposta del popolo, oppure la si dice almeno ad alta voce. L'invocazione
accompagna la frazione del pane, perciò la si può ripetere tanto quanto è
necessario fino alla conclusione del rito. L'ultima invocazione termina con le
parole “dona a noi la pace”.
16. La comunione
Il sacerdote si prepara con una preghiera silenziosa a ricevere con
frutto il Corpo e il Sangue di Cristo. Lo stesso fanno i fedeli pregando in
silenzio. Quindi il sacerdote mostra ai fedeli il pane eucaristico sulla patena
o sul calice e li invita al banchetto di Cristo; poi insieme con loro esprime
sentimenti di umiltà, servendosi delle prescritte parole evangeliche: “Beati gli invitati alla Cena del Signore:
“Ecco l’Agnello di Dio, ecco Colui che
toglie i peccati del mondo. O Signore,
io non sono degno di partecipare alla tua mensa: ma di’ soltanto una parola e
io sarò salvato”.
Una raccomandazione del Messale per tutti, sacerdote e fedeli: ricevano il Corpo del Signore con ostie consacrate nella stessa Messa e, nei casi previsti, facciano la Comunione al calice (Cf. n. 284), perché, anche per mezzo dei segni, la Comunione appaia meglio come partecipazione al sacrificio in atto.
Mentre il sacerdote si comunica, inizia il canto di Comunione: con esso si esprime, mediante l'accordo delle voci, l'unione spirituale di coloro che si comunicano, si manifesta la gioia del cuore e si pone maggiormente in luce il carattere «comunitario» della processione di coloro che si accostano a ricevere l'Eucaristia. Il canto si protrae durante la distribuzione del Sacramento ai fedeli.
Se non si canta, l'antifona alla Comunione proposta dal Messale può essere recitata o dai fedeli, o da alcuni di essi, o dal lettore, altrimenti dallo stesso sacerdote dopo che questi si è comunicato, prima di distribuire la Comunione ai fedeli.
Terminata la distribuzione della Comunione, il sacerdote e i fedeli, secondo l'opportunità, pregano per un po' di tempo in silenzio. Tutta l'assemblea può anche cantare un salmo, un altro cantico di lode o un inno.
17. Come ricevere l’Eucaristia?
Secondo le indicazioni della S. Congregazione
per il Culto Divino (Istr. Memoriale Domini, 1273 ss), nel distribuire la
comunione, si conservi la consuetudine di
deporre la particola consacrata sulla lingua dei comunicandi, consuetudine
che poggia su una tradizione plurisecolare. Ma le Conferenze Episcopali possono tuttavia stabilire, con la debita
conferma della Sede Apostolica, che nel territorio di loro competenza la santa
comunione si possa distribuire anche deponendo il pane consacrato nelle mani
dei fedeli, purché sia evitato ogni pericolo che si affievolisca nei fedeli
la venerazione verso l’Eucaristia o si diffondano dottrine errate su di essa. La Conferenza Episcopale Italiana ha fatto
sua questa indicazione: pertanto il comunicando può liberamente scegliere di
ricevere la particola consacrata in uno dei due modi: sulla lingua o sulla
mano.
La Chiesa prescrive che “nessuno, consapevole di essere in peccato mortale, per quanto si creda
contrito, si accosti alla santa Eucaristia, senza premettere la confessione
sacramentale” (DS 1646-1677). Se c’è un grave motivo e manca la possibilità
di confessarsi, premetta un atto di contrizione perfetta, con il proposito di
confessare quanto prima i singoli peccati mortali, che sul momento è
impossibilitato a confessare.
Ancora. Per accostarsi all’Eucaristia,
occorre essere digiuni almeno da un’ora.
Digiuni di cibo e bevande, fatta eccezione soltanto per l’acqua e per le
medicine.
Le persone anziane, i malati e coloro che li
accudiscono possono ricevere l’eucaristia anche se entro l’ora precedente hanno
preso qualcosa.
Infine viene raccomandato a coloro che si
avvicinano all’Eucaristia di “sostare per
qualche tempo in preghiera”.
Per completare la preghiera del popolo di Dio
e anche per concludere tutto il rito di Comunione, il sacerdote recita l'orazione dopo la Comunione, nella quale
invoca i frutti del mistero celebrato.
19. Riti di conclusione
Siamo giunti così
al termine della celebrazione. Il rito prevede la possibilità che il celebrante
dia all’assemblea degli avvisi (brevi e se necessari).
Seguono: il saluto e la benedizione del sacerdote,
che in alcuni giorni e in certe circostanze si può arricchire e sviluppare con l'orazione sul popolo o con un'altra
formula più solenne; il congedo del
popolo da parte del diacono o del sacerdote, perché ognuno ritorni alle sue
opere di bene lodando e benedicendo Dio; il bacio
dell'altare da parte del sacerdote e del diacono e poi l'inchino profondo all'altare da parte del sacerdote, del diacono e
degli altri ministri.
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