Taccuino cinese

Appunti di viaggio nel grande paese del continente asiatico

Taccuino cinese

Sono stato di recente in Cina: quasi per caso, perché non era nei miei progetti. Ma quando il viaggio mi è stato proposto, non me lo sono fatto dire due volte: ho accettato e sono partito.
Ora, rientrato, mi corre l’obbligo di raccontare quell’esperienza insolita e per un verso anche speciale.

Sapevo di non essere il primo ad andare in quel lontano paese. A me, francescano, vennero subito in mente i nomi illustri di Giovanni da Pian del Carpine (1182-1252), di Giovanni da Montecorvino (1247-1328), di Odorico da Pordenone (1286-1321), tutt’e tre frati francescani che raggiunsero l’estremo Oriente per annunciare il Vangelo.

Del primo, Fra Giovanni da Pian del Carpine, sappiamo che fu latore di una missiva di pace da parte del Papa presso il Gran Khan Guyuk. Ce ne ha lasciato un resoconto nella Historia Mongolorum, considerato come la più antica descrizione storico-geografica dell’Asia centrale, ricca di notizie relative alle tecniche di guerra, ai nomi delle armi, e di indicazioni sulla religione animistica di quei popoli.
Il secondo, Fra Giovanni da Montecorvino, fu anch’egli francescano, missionario e arcivescovo di Pechino. Nel 1286 il Khan Arghun chiese al Papa l’invio di missionari cattolici presso la Corte dell’imperatore cinese Kublai Khan (1260-1294). Verso il 1288 Giovanni da Montecorvino tornò a Roma con una richiesta simile e Papa Nicolò IV gli affidò il compito di fondare delle missioni nell’Estremo Oriente. Egli iniziò il viaggio nel 1289. Via mare raggiunse la Cina settentrionale nel 1294. Quando giunse a Khan Baliq (Pechino) ricevette la notizia che Kublai Khan era appena morto. Nel 1299 fra Giovanni costruì la prima chiesa a Khan Baliq. Nel 1305 ne costruì un'altra, con annesse officine e case per 200 persone, proprio davanti al palazzo imperiale. In quegli stessi anni riscattò da famiglie non cristiane circa 150 ragazzini dai 7 agli 11 anni, insegnò loro il greco ed il latino, scrisse appositi salmi ed inni e li educò al servizio liturgico della  Messa  ed al canto. Nello stesso periodo imparò approfonditamente la lingua cinese, allo scopo di iniziare a pregare in maniera pienamente comprensibile da chi lo ascoltava, e tradusse in cinese il Nuovo Testamento ed il Libro dei Salmi. Tra le 6.000 persone convertite da Giovanni da Montecorvino vi fu un re di credo nestoriano, Giorgio (Giwargis in siriaco), vassallo del Gran Khan, menzionato da Marco Polo nel Milione.
Infine Fra Odorico da Pordenone. Verso il 1318 Odorico partì missionario per l'Oriente: attraversò durante il suo viaggio le città di TrebisondaErzurumHoms e Baghdad. Giunto a Thane (che ora è un sobborgo di Bombay), Odorico classificò la popolazione come idolatra, perché adoravano fuoco, serpenti ed alberi; la città era stata però conquistata di recente dai musulmani, i quali condizionavano la vita religiosa. 
Odorico proseguì  toccando CeylonCanton e infine, dopo 4-5 anni di viaggio, raggiunse Pechino, dove fu ricevuto dall'imperatore Yesün Temür Khan (T'ai-ting-ti), pronipote di Kublai Khan, che aveva conosciuto Marco Polo (allora la Cina era ancora sotto il dominio dei mongoli). Dopo soli tre anni fu incaricato di rientrare in Italia. Durante il viaggio di ritorno visitò il Tibet e fu il primo europeo ad entrare nella sua capitale, Lhasa, da dove attraversò poi la Persia e l'Armenia.

Di fronte ai citati tre grandi missionari francescani non si può che restarne ammirati. Dopo di loro troviamo il nome illustre e indimenticato del gesuita Matteo Ricci (1552-1610), che si fece “cinese con i cinesi” e a tutt’oggi è conosciuto e venerato dai cinesi.

Al mattino del primo giorno del nostro arrivo in Cina, a cento metri dall’albergo nel quale eravamo stati alloggiati, in pieno centro, ci imbattemmo in una chiesa, dalla facciata apparentemente di stile europeo o più precisamente barocco. Entrammo, incuriositi: all’interno volgeva al termine un matrimonio alla presenza di una piccola folla di fedeli, parenti e amici. L’interno era in stile neo gotico. Sul piazzale antistante una statua di San Giuseppe col Bambino Gesù in braccio e la frase, scolpita sul piedistallo: “Ite ad Joseph”. Era la cosiddetta Cattedrale di San Giuseppe Wangfujing, fondata e costruita nel 1655 e durante la rivoluzione dei Boxer. Una delle dieci chiese più belle della Cina.

*

Il nostro programma di viaggio prevedeva, per il sabato 13 agosto, il trasferimento da Taiyuan a Pingyao. Pingyao è una città molto antica, nella provincia dello Shanxi, dichiarata “Patrimonio dell’Umanità”. Possiede una cinta muraria costruita nel 1370 dall'imperatore Hongwu, munita di sei porte con barbacane che si sviluppano per circa 6 km di lunghezza con una altezza media di 10 m. Le porte erano una sui lati settentrionale e meridionale, due sui lati orientale e occidentale. Questa disposizione fece guadagnare alla città il soprannome di "città tartaruga", poiché la struttura delle porte richiama l'animale (una testa, una coda e quattro zampe). Le mura sono alte 12 metri ed hanno un perimetro di circa sei chilometri. All'esterno sono difese da un fossato profondo 4 metri e largo altrettanti. Le mura sono munite di 76 torri d'osservazione (di cui 4 agli angoli) e oltre 3.000 merli.

Una struttura del genere pone ovviamente qualche problema alla circolazione. Infatti al nostro arrivo il pullman che ci trasporta deve fermarsi ai piedi delle mura. Il nostro albergo è situato nella città vecchia, all’interno delle mura, nella Hongshanyi Guesthouse. Per raggiungerlo dobbiamo salire a bordo di alcuni piccoli veicoli (una specie di moto carrozzelle) capaci di muoversi con disinvoltura (eccessiva) tra i meandri degli antichi edifici. Nella tarda serata, durante la cena in una ristorante tipico, che in passato aveva ospitato anche uomini illustri come l’ex presidente Francese Giscard D’Estaing, venne giù un temporale che rinfrescò la temperatura della serata afosa. Sulle pareti delle mura, nei dintorni dell’albergo, una serie di antiche fotografie ricordano che da queste parti, durante la seconda guerra mondiale, ebbe luogo la resistenza cinese contro le truppe degli invasori giapponesi.

La mattina della domenica 14 agosto, guidati da Michèle (una ragazza gentile e premurosa), percorrendo la Main Street, cioè la via principale della città, chiedo informazioni sulla presenza in loco di qualche chiesa cristiana. Ci dice che nella zona ce ne sono ben quattro. Una di queste si trovava nelle vicinanze, al termine della Main Street. Gentilmente si offre di accompagnarci. Entriamo in un piccolo piazzale in terra battuta. Una statua della Vergine Immacolata ci avverte che siamo proprio davanti a una chiesa cattolica. La porta è aperta: è domenica. Vi entriamo con qualche trepidazione (non siamo forse in uno stato comunista, che non ama certo la religione). Ma la messa è terminata. Il prete non c’è più: ci dicono che è andato a celebrare in un altro paese. C’è però ancora un piccolo gruppo di persone, che cercano di eseguire, come possono, qualche canto.

La chiesa è molto modesta e povera. Tutta la suppellettile lo sottolinea. Sulla parete frontale campeggiano le immagini del Cristo in trono benedicente, sulla destra San Giuseppe (?) e sulla sinistra Sant’Antonio di Padova. Più lontano, le immagini del Sacro Cuore e del Cuore Immacolato di Maria. Vecchi e usurati i pochi banchi. Una signora distinta accompagna all’harmonium un canto liturgico. Gli altri seguono con qualche incertezza. Pian piano si accostano, uno dopo l’altro. Grazie a Michèle, chiediamo qualche informazione sulla chiesa, la parrocchia, il prete. Le risposte sono scarne e generiche: non sappiamo se volutamente o per una effettiva scarsità di conoscenza. Ci commuove però la gioia e l’affetto che si sprigionano dai loro volti nello stare con noi. Ognuno di loro chiede una benedizione, che volentieri viene concessa. Si percepisce la presenza dello Spirito Santo in questa piccola comunità cristiana: gente semplice, povera, umile, desiderosa di amare il Signore in terra di Cina. Alla fine, prima di lasciarci, la foto di gruppo e un’Ave Maria (in cinese e in italiano) davanti al suo simulacro: un momento di grazia che resterà a lungo nella loro e nella nostra memoria.
*
Qualche giorno dopo siamo a Xi’an, capoluogo della provincia dello Shaansi, 4 milioni e mezzo di abitanti. La città è famosa per l’esercito dei soldati di terracotta. Si tratta di un esercito simbolico, destinato a servire il primo imperatore cinese Qin Shi Huang (260 a.C. - 210 a.C.) nell'Aldilà.
Dal 1987 il mausoleo dell'imperatore Qin Shi Huang, di cui l'esercito di terracotta fa parte, è stato inserito nell'elenco dei Patrimoni dell'umanità dell'UNESCO. E ovviamente questa è la cosa più importante da vedere, anche se non la sola: si pensi, ad esempio, al Quartiere musulmano (da qui partiva l’importantissima “via della seta”, che collegava Roma con l’Asia e dove passavano spezie, tessuti e tradizioni), alla Grande Moschea (a Xi’an c’è una importante minoranza islamica) e i vari centri commerciali.
La visita al museo dei soldati di terracotta è certamente da non perdere. Noi ci siamo stati in una torrida mattinata, assieme ad una folla incalcolabile, tutti affascinati dalla moltitudine dei soldati di terracotta, ritornati alla luce dopo un sonno di oltre duemila anni. È stupefacente la motivazione che è stata all’origine dell’opera: la concezione della sopravvivenza, oltre la morte, della natura umana (si pensi a qualcosa del genere presente nella civiltà egizia). L’imperatore Qin Shi Huang aveva pensato di organizzarsi per il dopo, costruendosi un mausoleo come una città terrena e difesa da una moltitudine di soldati, quelli di terracotta appunto.

*
Altra visita indimenticabile quella alla “Grande pagoda dell’oca selvatica (o selvaggia)”, considerata come il simbolo dell’antica capitale Xi’an. Originariamente edificata nel 589 d.C. durante la dinastia Sui, il tempio è stato chiamato Wu Luo Si, in onore del monaco buddista Xuan Zang che, al termine di una lunga epopea lungo la via della Seta, portò dall’India alla Cina i primi scritti sacri.
La pagoda è un miracolo architettonico. È costruita con strati di mattoni senza alcun collante tra essi. Lo stile a mattoni è tipico dell’architettura tradizionale cinese. Le congiunzioni tra le cuciture di mattoni e i “prismi” di ogni lato sono visibili molto chiaramente. Il possente corpo della pagoda, con la sua apparenza solenne, lo stile semplice e la struttura elevata sono un incredibile esempio dell’ingegnosità e del talento degli antichi.

Proprio durante la visita di questa importante pagoda ho incontrato un monaco buddista, dalla figura tarchiata, di bassa statura, con la sua tunica arancione. Mi ispirò un sentimento di simpatia: mi avvicinai a lui e sorridendo gli dissi l’unica frase cinese che conoscevo: “wo she shenfu” (sono un monaco), un monaco cristiano. L’affermazione fu confermata dagli altri amici presenti e lui gentilmente abbozzo un sorriso e consentì a un abbraccio e a una foto, dicendo più o meno così: “Siamo diversi ma abbiamo un cuore grande”. Una frase molto bella e di grande significato, che mi richiamò alla mente quanto disse papa Francesco nella chiesa dei luterani a Roma, quando parlò di una “diversità riconciliata”, cioè la diversità non deve portare allo scontro ma esige una reciproca riconciliazione.
Scrivendo queste note, penso al documento conciliare “Nostra Aetate”, dedicato alle relazioni della Chiesa con le religioni non cristiane, là dove si dice: “La Chiesa cattolica nulla rigetta di quanto è vero e santo in queste religioni. Essa considera con sincero rispetto quei modi di agire e di vivere, quei precetti e quelle dottrine che, quantunque in molti punti differiscano da quanto essa stessa crede e propone, tuttavia non raramente riflettono un raggio di quella verità che illumina tutti gli uomini.”

Il nostro viaggio in Cina non si è concluso nella visita della Grande Pagoda dell’Oca Selvaggia. Altri luoghi, soprattutto altri templi, ci hanno permesso di vedere da vicino le forme devozionali di queste religioni, che tanto hanno marcato la storia religiosa popolare cinese: il taoismo, il confucianesimo e il buddismo. Per ora ci fermiamo qui.

Tarcisio Marco Mascia





Commenti

Post popolari in questo blog

Fra Lorenzo da Sardara: uomo di preghiera, costruttore di presepi, vicino ai poveri e ai sofferenti

Il Cantico di frate Sole ottocento anni dopo

Padre Atanasio Piras da Quartu Sant’Elena - Ricordo di un grande studioso