Quale prete per quale Chiesa Sarda?
Quale
prete per quale Chiesa Sarda?
Molti
hanno scritto di recente sulle pagine del NUOVO CAMMINO intorno al tema
vocazionale, sottolineando i tanti aspetti della grave crisi che attraversa la
Chiesa sarda e più in generale la Chiesa italiana e le Chiese occidentali. Ma a
noi interessa da vicino la nostra Chiesa sarda. Mario Girau, nel suo articolo “La medicina contro la crisi di vocazioni”
fornisce i dati statistici ed impietosi della crisi, che tocca indistintamente
tutte le dieci diocesi sarde. Dal quadro numerico si riesce più facilmente a
capire la gravità della crisi più che la “medicina” per curarla: ci si può
chiedere, come gli esperti hanno scritto nei loro interventi, se bastano le
campagne promozionali, se bastano le speciali strategie messe a punto qua e là
o magari le preghiere, che pure sono necessarie perché la Chiesa ottenga dal
suo Signore la grazia della risveglio vocazionale. Giusto anche privilegiare la
qualità del discernimento vocazionale piuttosto che il numero (come dice Don
Vico Massa, “meglio poche vocazioni ma motivate bene che molte
nell’ambiguità”). Molto opportuni anche i rilievi fatti dal vescovo, P. Roberto
Carboni, durante l’omelia da lui tenuta nel Seminario Regionale, il 21 giugno
scorso, in occasione della memoria liturgica di San Luigi Gonzaga: Dio chiama a
ogni ora e attende una risposta pronta e generosa da parte di quanti vogliano
seguirlo.
A
mio avviso, quando si parla di crisi di vocazioni, bisogna tener conto di una
costante sottesa ad ogni analisi: la crisi della natalità ovvero il decremento
demografico in Italia, e in particolare in Sardegna. Secondo i dati dell’Istat,
le nuove nascite in Italia (anno 2018) non arrivano a 500 mila unità. E la
Sardegna, già dal 2017, è maglia nera per il numero delle nascite (6 nuovi nati
ogni 1000 abitanti).
Mancando
la “materia prima” (le nascite), è inevitabile anche il calo delle “vocazioni”.
Pertanto per invertire la tendenza, bisogna quantomeno che cambi
l’atteggiamento della società davanti al tema della “vita”. E questo potrà
avvenire soltanto in tempi lunghi.
Altro
fattore di crisi collegato al precedente è il flusso migratorio di gran parte dei
giovani sardi, che dall’isola vanno sul continente o verso i paesi europei in
cerca di un posto di lavoro, e ciò riduce ulteriormente la probabilità che
qualcuno di loro si faccia prete nell’Isola.
Più
dei due fattori sopra indicati, direi che influiscono negativamente, da qualche
decennio, a livello nazionale e internazionale, gli scandali del clero: i
numerosi e clamorosi casi di pedofilia o di abusi, di cui sono stati
protagonisti dei preti ma anche alcuni membri della gerarchia, e che i social
network hanno pubblicizzato a livello mondiale, hanno offuscato forse irrimediabilmente
l’immagine del prete. Ritenere che tutto ciò non abbia influito sulla crisi
delle vocazioni è da stolti. Farsi prete, cioè appartenere a una categoria di
persone indicate come “pedofile”, non può costituire un ideale ancora valido
per la maggior parte dei giovani. Papa Francesco raccontò qualche tempo fa che
un giorno per strada, a Buenos Aires, sentì una donna raccomandare al suo
bambino di star lontano dai preti, perché sono pedofili. Lui sentì quelle
parole e avrebbe desiderato sprofondare dalla vergogna.
Ricordo
che, quando ero ragazzo, negli anni ’50 e ’60, veniva raccomandata ai fedeli la
preghiera per la santificazione del clero. Mi pare che tale bella pratica sia
venuta meno. I preti, più ancora che per il passato, hanno bisogno che si
preghi per loro perché siano fedeli alla loro vocazione e agli impegni assunti
con l’ordinazione presbiterale.
Detto
questo, aggiungo altre considerazioni. Se, come diceva Benedetto XVI e ha più
volte ripetuto anche Papa Francesco, la Chiesa cresce non con l’essere
autoreferenziale (farsi bella con i numeri) ma attirando con il fascino del
vangelo vissuto e predicato, allora anche la figura del prete non può essere
affidata a delle esteriorità (l’abbigliamento o i riti preconciliari) o
all’adeguamento alle mode secolari (stili di vita mondani). Il prete deve
attirare i giovani con l’esempio della sua vita santa, perché è chiamato a
farsi, in forza del suo ruolo, maestro e guida alla santità. Grazie a Dio ci
sono ancora dei preti santi, ma non sono protagonisti delle cronache, e per
questo, non facendo chiasso, sembra che tutto vada a rotoli, come si dice.
Tutto
ciò comporta che il prete, in Sardegna e ovunque, sia impegnato prima di tutto
nella cura delle anime, che è il suo compito primario. Egli dovrebbe ritornare,
là dove è stato dimenticato, al ministero delle confessioni: qui maturano le
conversioni, qui maturano i propositi di una vita migliore, qui si discernono
le vocazioni... Il prete dovrebbe altresì recepire con docilità tutto
l’insegnamento conciliare circa la pastorale parrocchiale, circa il modo di
gestire la comunità, coinvolgendo nella gestione anche i laici, secondo le
indicazioni del Magistero. Il prete esemplare, che per primo mette in pratica
il Vangelo, è la prima fonte di vocazioni o, parafrasando Tertulliano, è “seme
di nuovi preti”.
Restando
sempre in tema di cura d’anime, non si può ignorare oggi la mobilità della gente,
grazie ai mezzi di trasporto. Questo comporta che anche le parrocchie non debbano
ignorare il fenomeno: il loro territorio non può essere considerato in maniera
rigida. Per cui occorre tener presente che i giovani, anche i migliori, si
spostano per ragioni di studio o di lavoro dal paese alla città o comunque da
una parte all’altra del territorio. Ciò richiede una pastorale vocazionale
diversa e portata avanti da sacerdoti idonei, preparati e capaci di lavorare in
sinergia e a largo raggio. In particolare si dovrebbe aver una cura più attenta
ai luoghi di aggregazione maggiore, soprattutto le Università.
Un’ultima
considerazione. Non il singolo prete ma tutto il clero, diocesano e regolare,
dovrebbe manifestare una più stretta coesione al suo interno, superando i
tradizionali steccati, lavorando in spirito di comunione, senza rigidezze, e
con slancio apostolico.
Spesso
le cronache e internet parlano di preti che sono delle caricature del loro
ruolo e offuscano l’immagine del prete e che certamente non contribuiscono a
far apprezzare dai giovani questa vocazione. Le stranezze segnalano
generalmente un malessere personale, che, se possono suscitare al momento
stupore, certamente non invogliano i giovani a scegliere di farsi preti.
Oggi,
non meno di ieri, la gente desidera preti di alto profilo, che siano prima di
tutto uomini di Dio e lo seguano mettendo in pratica il Vangelo con coraggio,
fedeltà e gioia. Anche la Chiesa sarda, a mio avviso, ha bisogno di preti così.
P. Tarcisio Mascia
Credo che dipenda molto dalla famiglia dove si nasce,
RispondiEliminaquando io ero ragazzo qui in paese molti ragazzi e ragazze vollero diventare ,suore e sacerdoti e frati.
O conosciuto famiglie devote dove cerano due Frati e una suora,
Ma con mio disappunto i genitori di oggi la maggior parte sono atei e quindi non possono
inculcare nei figli di avviarsi in una vita clericale.
Il prete esemplare, che per primo mette in pratica il Vangelo, è la prima fonte di vocazioni o, parafrasando Tertulliano, è “seme di nuovi preti”.
Ora anche la chiesa deve avvicinare i giovani specialmente i catechesi
facendo in modo che già da piccoli l'alberello cresca con amore della vocazione.
Francesco Cau