Quei nomi e simboli proibiti


Quei nomi e simboli proibiti

 di Tarcisio Mascia


Appena ieri si è votato alle elezioni Europee, che hanno dato l’esito che sappiamo. Dichiarazioni, considerazioni, valutazioni e giudizi riempiono i canali televisivi, i social, la carta stampata, tutti i media insomma.

Una cosa che ha colpito un po’ tutti, e in particolare il mondo cattolico, è stato il frequente riferimento di Salvini, il capo della Lega, sia nella campagna elettorale che nel dopo voto, ai simboli della fede cattolica (il rosario, il crocifisso, la Madonna) e attribuendo ad essi il merito del risultato positivo della consultazione elettorale.

La cosa ha provocato la reazione sdegnata dei partiti laici e di una parte del molto cattolico, persino di qualche vescovo e di qualche prete. Qualcuno ha cercato di tirare per la giacca anche Papa Francesco. E appare inverosimile che i nomi e simboli sacri sia proibito citarli nel linguaggio pubblico (la cosa vale anche fuori dalle elezioni). Il nome di Dio sembra proibito pronunciarlo in qualunque sede, tranne che in chiesa.

I simboli e il lessico della fede, in Italia e più in generale in Europa, non sono politically correct, cioè non sono ammessi nel discorso pubblico. Forse si sente mai pronunciare il nome di Dio in Parlamento? Una volta, ai tempi della DC, quando il capo del governo teneva il suo discorso programmatico, al termine del discorso non mancava mai di invocare il nome di Dio o l’aiuto della Provvidenza. Era l’unica eccezione. Dopo, soprattutto con l’avvento dei governi laici e socialisti, fu tacitamente censurato ogni riferimento al sacro. Un alieno, vedendo la cosa da fuori, potrebbe dire che si tratta di un fenomeno derivato dalla nevrosi collettiva della società moderna.

Quando ero un giovane studente liceale, seguendo sui giornali le cronache dell’epoca, in particolare i resoconti della politica internazionale, mi faceva meraviglia, leggendo i discorsi dei presidenti americani, trovare frequenti riferimenti a Dio, alla Bibbia, a volte ai Santi. Al tempo del presidente Clinton, Papa Giovanni Paolo II si recò negli Stati Uniti. All’arrivo all’aeroporto Kennedy c’era ad accoglierlo il Presidente americano, il quale dandogli il benvenuto citò la cosiddetta “Preghiera semplice”, attribuita da lui impropriamente a San Francesco. Una cosa simile in Italia non sarebbe accaduta.

San Bernardino da Siena, il più grande predicatore del XV secolo, richiamava folle enormi nelle piazze delle città italiane e non si vergognava di esortare tutti alla venerazione del nome di Gesù. Durante le sue prediche faceva baciare dai fedeli delle tavolette di legno colorate in oro e azzurro sulle quali era dipinto il trigramma IHS (Iesus Hominum Salvator), sormontato  da una croce e inscritto in un sole. E questo non gli impedì, al contrariò gli ispirò, la trattazione di temi di etica professioale, quali l’efficienza, la responsabilità, la laboriosità e l’assunzione del rischio.

La censura corrente dei nomi e dei simboli religiosi esprime un ossequio esagerato alla cosiddetta laicità, espressione della autonomia dei poteri ispirata alle parole di Gesù: “Date a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio”. Un costume, quello dei politici, che mira poi ad allargare non solo la distinzione tra i due (tra Cesare e Dio), ma anche la distanza tra di loro, naturalmente a scapito del secondo. Chi ci rimette è sempre Dio. Così accade che nella città secolare, ci si vergogni anche della propria storia segnata dalla fede e si cerchi di cancellare le radici cristiane del continente.

Quanto è accaduto nei giorni scorsi – mettendo da parte ogni valutazione politica del personaggio vincitore delle elezioni – potrebbe segnare anche una svolta positiva nel linguaggio pubblico, che, dando diritto di cittadinanza ai nomi e ai simboli della fede, renderebbe anche un servizio alla società, che dal richiamo a quei valori ad essi collegati non può che trarne vantaggio.
Tarcisio Mascia


Commenti

  1. Secondo me Salvini voleva solo lanciare un messaggio proprio hai cristiani della lega .
    Non nego che ho visto in lui quando proclamando il rosario e la croce espletando in realtà le sue paure.
    Non posso e non devo giudicare ma il mio pensiero personale che il clero deve perdonare.

    Francesco Cau

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