Nuovi vescovi per la Chiesa Sarda


Nuovi vescovi per la Chiesa Sarda

di P. Tarcisio Mascia


Nei giorni scorsi la Santa Sede ha nominato due nuovi pastori per la Chiesa sarda: quello di Oristano nella persona di P. Roberto Carboni, frate francescano conventuale, già vescovo di Ales-Terralba, che succede al dimissionario Mons. Ignazio Sanna, che guidava la Diocesi Arborense dal 2006 fino al 4 maggio di quest’anno.
L’altro nuovo pastore è quello della Diocesi di Nuoro: Mons. Antonello Mura, già vescovo di Lanusei, è stato chiamato a succedere al dimissionario Mons. Mosè Marcia, vescovo del capoluogo barbaricino dal 2011. Sia il primo che il secondo, pur destinati alle nuove sedi, rimangono alla guida delle rispettive diocesi di provenienza col titolo di amministratori apostolici. A ciascuno di loro fanno capo ora due diocesi: Mons. Roberto Carboni è vescovo di Oristano e di Ales-Terralba; Mons. Antonello Mura è vescovo di Nuoro e Lanusei.
Qualcuno ora prevede a breve la nomina del nuovo vescovo di Cagliari, anch’egli dimissionario: al momento però la nomina non è arrivata. È probabile che in questo caso a lui farà capo una sola diocesi.
A seguito delle due nomine di Mons. Carboni e di Mons. Mura, qualcuno ha parlato di accorpamento di diocesi, intendendo con questo termine la fusione di due diocesi in una. La cosa non sarebbe nuova: infatti in un passato non lontano avvenne la stessa cosa per le diocesi di Alghero e Bosa, che nel 1972 furono dapprima unite nella persona del vescovo di Bosa Mons. Francesco Spanedda e nel 1986, con decreto della Congregazione per i Vescovi, fu decisa la fusione delle due diocesi col nome attuale di Alghero-Bosa.
Ma il nuovo arcivescovo di Oristano, Mons. Roberto Carboni, ha precisato che nella Bolla di nomina non si parla di accorpamento o di fusione delle due diocesi. Quindi i timori che le diocesi di Ales-Terralba e di Lanusei scompaiono dalla geografia ecclesiastica al momento non hanno ragione di esistere. Del futuro non sappiamo.
Comunque già molte volte in passato la configurazione ecclesiastica della Chiesa Sarda ha subito variazioni, fusioni e soppressioni. Almeno una decina di diocesi sarde sono state soppresse in passato: Castro (1503), Galtellì (1495), Dolia (1502), Fordongianus (sec. X), Ottana (1572), Ploaghe (1503), Santa Giusta (1503), Sorres (1503), Suelli (1420) e Tharros (1070). I loro nomi rimangono solo come sedi titolari.
Dando uno sguardo d’insieme alla chiesa sarda, eccola nel linguaggio freddo dei numeri: 10 diocesi (di cui tre metropolitane), 625 parrocchie, 840 sacerdoti diocesani, 274 sacerdoti religiosi, 70 diaconi permanenti. La popolazione dei fedeli cattolici è pari a 1.639.942 abitanti.
I mutamenti ai quali assistiamo oggi non possono destare meraviglia e non hanno niente di patologico. Molte possono essere le ragioni che impongono certi cambiamenti, non ultime quelle derivanti dalla mobilità delle popolazioni, dall’abbandono delle campagne, dalla crescita dei centri urbani, ma anche dal fenomeno della denatalità e, non ultima, dalla riduzione numerica del clero e dalla diminuzione dei fedeli praticanti. Semmai si può aggiungere che sarebbe opportuno ridefinire i confini delle singole diocesi, tenendo conto della storia dei territori e soprattutto delle infrastrutture, in particolare della rete stradale e del sistema delle comunicazioni.
L’affidamento di più diocesi ad un solo pastore pone tuttavia degli interrogativi. Se il territorio affidatogli copre un territorio pari a quello di due diocesi, c’è da supporre che il nuovo pastore dovrà accollarsi un lavoro doppio rispetto a prima: l’estensione maggiore del territorio gli renderà più difficile la visita alle parrocchie, più labile il contatto con i parroci e con i fedeli, più ardua la conoscenza della macchina organizzativa. Più in generale dovremmo dire, per usare un’immagine tratta dal mondo agricolo, che in tal modo (cioè unendo le diocesi) si privilegia una pastorale estensiva rispetto ad una intensiva: ne risentirebbe di conseguenza la qualità del lavoro pastorale e quindi, più in generale, la cura animarum delle diocesi.
L’evangelizzazione deve sempre commisurarsi al territorio. San Paolo, dopo la sua conversione, intraprese i suoi viaggi missionari che lo portarono ad attraversare molte regioni del mondo mediterraneo, abitate da popolazioni assai diverse. Ad esse annunciava il suo Vangelo, adattando il suo linguaggio alle culture dei vari luoghi. Fu una semina diversificata ma commisurata ai bisogni delle comunità cristiane nascenti. Un modello, quello di Paolo, adatto per ogni vescovo.
I due nuovi vescovi sono pastori ricchi di esperienza pastorale: la loro azione nei nuovi territori ne trarrà giovamento. Sapranno identificare i problemi e le aspettative delle popolazioni affidate alle loro cure. Soprattutto, sull’esempio di Papa Francesco, sapranno evangelizzare i poveri, gli ultimi, i malati e i sofferenti di ogni tipo. Per loro la Chiesa Sarda eleverà la sua preghiera al Signore.




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