Il celibato e il grande Tentatore
Il celibato e il grande Tentatore
di P. Tarcisio Mascia
Nella
Vita Seconda di Tommaso da Celano, il
primo biografo di San Francesco, si legge un episodio, di cui il Santo era
stato protagonista (1 cel nn. 116-117; FF 703), episodio riferito anche da San
Bonaventura nella Legenda Maior (LM
c. 5, 1-4; FF 1091).
Si
racconta dunque che Francesco era fortemente tentato di lussuria. Per vincere
la “violentissima” tentazione si spogliò e incominciò a flagellarsi con estrema
durezza con un pezzo di corda. “Orsù,
frate asino, - esclama – così tu devi sottostare, così subire il flagello!”
Ma poiché la tentazione non lo lasciava, “aprì
la celletta e, uscito nell’orto, si immerse nudo nella neve alta. Prendendo poi
la neve a piene mani la stringe e ne fa mucchi a forma di manichini, si colloca
poi dinanzi ad essi e comincia a parlare così al corpo: “Ecco, questa più
grande è tua moglie; questi quattro, due sono i figli e due le tue figlie; gli
altri due sono il servo e la domestica, necessari al servizio. Fa’ presto,
occorre vestirli tutti, perché muoiono di freddo. Se poi questa molteplice
preoccupazione ti è di peso, servi con diligenza unicamente il Signore.”
Difficile non sorridere davanti all’episodio narrato dal Celano e non
interrogarsi sulla estrema serietà con la quale il Santo si pone davanti alla
tentazione e sull’impegno col quale egli la combatte, ricorrendo anche al
rimedio estremo della flagellazione e successivamente ai pupazzi di neve,
immagine fantastica e parodistica della famiglia quale tentazione per chi ha
scelto di consacrare la propria vita al Signore.
Francesco
e i suoi frati, come tutti i religiosi, si sono impegnati con voto a servire il
Signore in castità, povertà e obbedienza: liberi da ogni vincolo di cose e di
persone, hanno consacrato se stessi al Signore, che intendono amare al di sopra
di tutto e di tutti. Essi sono “sacri”, cioè messi da parte per essere solo del
Signore. Essere fedeli ai voti per tutta la vita è certamente un’impresa
difficile ma non impossibile con l’aiuto della grazia di Dio. Ma non si è al
riparo dalla tentazione e, come Francesco, siamo chiamati a “combattere” fino
alla fine contro il grande tentatore, che ci vuole perdenti e scontenti,
lusingandoci con le fantasie più spregiudicate. La durezza del combattimento
talvolta mette a dura prova il nostro impegno di fedeltà. E si può rischiare
anche di arrendersi e di cedere alla tentazione. I primi frati, e i religiosi
in genere, erano in maggioranza non chierici e la castità era uno dei tre voti
che emettevano al termine del noviziato. Ma i chierici, frati o sacerdoti
secolari, erano tenuti sin dal IV secolo (Concilio di Elvira, a. 306) a osservare
la continenza perfetta e perpetua per il regno dei cieli: obbligo ribadito più
volte nei secoli successivi.
Recentemente
c’è stato un vivace dibattito sul celibato ecclesiastico, seguito alla
pubblicazione del libro del card. Sarah e del papa emerito Benedetto XVI (“Dal profondo del cuore”). Polemiche a
parte circa le firme dei due autori, il tema del celibato suscita sempre
discussioni accese tra opposti sostenitori.
Il
Papa Emerito sottolinea che sacerdozio e celibato sono uniti sin dall’inizio della nuova alleanza tra
Dio e l’umanità, realizzata in Gesù. «Dalla
celebrazione quotidiana dell’Eucaristia, che implica uno stato permanente di
servizio a Dio, sorse spontaneamente l’impossibilità di un legame coniugale»,
spiega Benedetto XVI. «Si può dire che
l’astinenza sessuale funzionale si è trasformata in astinenza ontologica»,
senza che questo sia «la conseguenza di
un disprezzo per la corporeità e la sessualità». Anche nella Chiesa del
primo millennio, del resto, «gli uomini
sposati potevano ricevere il sacramento dell’Ordine solo se si erano impegnati
a rispettare l’astinenza sessuale» con le loro mogli. La Chiesa, ricorda
Benedetto XVI, «ha sempre considerato il
matrimonio come un dono concesso da Dio dal paradiso terrestre. Tuttavia, lo
stato civile riguarda l’uomo nel suo insieme e poiché il servizio del Signore
richiede anche il dono totale dell’uomo, non sembra possibile raggiungere
entrambe le vocazioni contemporaneamente». Pertanto, «la capacità di rinunciare al matrimonio per rendersi completamente
disponibile al Signore è diventata un criterio per il ministero sacerdotale».
In Occidente,
nella Chiesa latina, esiste da più di un millennio il celibato dei preti: è un
impegno, anzi quasi un voto, che viene richiesto a coloro che desiderano servire
senza riserve il popolo di Dio. Il prete cattolico è quasi per natura celibe e
così è stato sempre visto e accettato dai fedeli. I quali fanno fatica ad
accettare che i preti siano come loro: che abbiano una famiglia, che esercitino
la sessualità come loro, che siano legati ad una serie di vincoli e di
condizionamenti, che siano soffocati da una miriade di impegni e di affanni che
ostacolerebbero l’esercizio del loro ministero.
Avevo
poco più di dieci anni quando entrai nel nostro Seminario. Ne avevo 16 quando andai
al noviziato per concluderlo l’anno dopo con la professione temporanea,
emettendo i voti di obbedienza, povertà e castità. Ricordo bene la gioia e
l’entusiasmo con i quali io e i miei compagni ci accingevamo a compiere quel
passo così importante e decisivo per la nostra vita. Col passare degli anni e
la maturità dell’età adulta si vivono le esperienze più diverse. La relazione
col mondo femminile è sottomessa a una verifica continua, soprattutto sul piano
affettivo. Le tentazioni della “carne” sono sempre dietro l’angolo. Il
combattimento richiede di stare continuamente all’erta, soprattutto con l’aiuto
della preghiera e della disciplina dei sensi.
Giunto
all’autunno della vita, guardo al celibato ancora con gioia, magari con
disincanto, ma certamente come un dono da custodire con fedeltà e da vivere con
coerenza. Credo che sia una condizione provvidenziale per prepararsi
dignitosamente a vedere col cuore puro il volto di Dio.
I sacerdoti non devono sposarsi devono essere casti come Gesù Cristo.il loro unico Sposo
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