Nella tempesta invochiamo il Signore sostenuti dalla Vergine e dai Santi

Nella tempesta invochiamo il Signore
Sostenuti dalla Vergine e dai Santi

di P. Tarcisio Mascia


Cagliari - Venerdì 27 marzo scorso: ricorderemo a lungo questo giorno, legato alla preghiera del Papa sul sagrato della Basilica di San Pietro, in una piazza vuota, bagnata dalla pioggia e dalle lagrime di un’umanità sofferente sotto il flagello del virus. “Dio non lasciarci in balia della tempesta” ha pregato il Papa: un’invocazione avvalorata dalla Benedizione Urbi et Orbi, impartita al mondo col Santissimo Sacramento. Le splendide immagini televisive hanno consegnato l’evento straordinario alla storia: forse da sole basteranno a far capire ai posteri l’acutezza del dolore di questa nostra umanità dolente.
Ascoltando le accorate parole di Papa Francesco abbiamo avvertito la sensazione che interpretassero il grido dell’intera umanità, che invocava pietà dal suo Signore, come quel giorno i discepoli sulla barca che sembrava andare a fondo.
È così ogni volta che il mondo avverte la propria impotenza davanti ad eventi che mettono a rischio la sua sopravvivenza. Allora, come spinta da un sussulto di fede, si rivolge al Cielo per chiedere aiuto e protezione. Oggi come ieri, nonostante il progresso della medicina.
Lunedì 16 marzo l’Arcivescovo di Cagliari, Mons. Giuseppe Baturi, si è recato presso la chiesa di Sant’Efisio per rinnovare davanti al Santo, patrono della Diocesi, l’atto di affidamento: «Tu, che un tempo intercedesti per liberare Cagliari dalla pestilenza e sempre ti sei mostrato suo protettore,
continua a proteggerci anche oggi e invoca la liberazione da questo male».
La sagra del primo maggio esprime la gratitudine del popolo cagliaritano nei confronti del Santo che la liberò dalla peste nel 1652. La sera di quel 1° maggio di ogni anno, il simulacro del Santo fa sosta la notte presso villa d’Orri, nel comune di Sarroch. Non so perché, ma il nome “Sarroch” vuol dire “San Rocco”, il nome del Santo per eccellenza protettore contro la peste. Quindi, in un certo senso, i due – Sant’Efisio e San Rocco - sono invitati a mettere in campo le proprie forze taumaturgiche (!) per ottenere la liberazione dal male.
Nell’Europa cristiana sono numerosi i santi invocati contro la peste: oltre a San Rocco, i più gettonati sono San Sebastiano e Sant’Antonio Abate. In Italia, oltre 200 chiese sono dedicate a San Rocco (una si trova anche a Cagliari tra il quartiere di Villanova e quello di San Benedetto), mentre una trentina di paesi in Sardegna festeggiano Sant’Antonio Abate e altrettanti San Sebastiano. All’origine di tante sagre paesane c’è proprio l’adempimento di un voto fatto in circostanze dolorose, quali la liberazione da qualche flagello, come per esempio quello delle cavallette, a Iglesias, che l’attribuisce all’intercessione della Madonna delle Grazie.
Tra i santi, però, quello che più a ragione può meritare il titolo di protettore contro la peste è il Santo francese di Montpellier, San Rocco (1345-1379), pellegrino instancabile e taumaturgo. È il santo più invocato, dal Medioevo in poi, come protettore dal terribile flagello della peste, e la sua popolarità è tuttora ampiamente diffusa. Il suo patronato si è progressivamente esteso al mondo contadino, agli animali, alle grandi catastrofi come i terremoti, alle epidemie e malattie gravissime; in senso più moderno, San Rocco è un grande esempio di solidarietà umana e cristiana, nel segno del volontariato.
Di lui sappiamo che venne in Italia durante l’epidemia di peste che investì il Paese nel 1367-1368 e che andò a soccorrere i contagiati, nonostante la sua debolezza fisica. Un fatto straordinario accompagnò la sua missione: su invito di un angelo, si racconta, egli benediceva gli appestati con il segno della croce e all’istante li guariva toccandoli con la sua mano. Così, in breve tempo, l’epidemia si estinse. Giunto a Roma, vi rimase tre anni curando gli ammalati all’Ospedale Santo Spirito. Nel viaggio di ritorno si fermò a Piacenza per assistere gli ammalati di peste, dove venne contagiato. Per non mettere a rischio altre persone si trascinò fino a una grotta, dove, grazie all’aiuto di un viandante, fu curato e potè riprendere il cammino. Lungo la via del ritorno, si fermò a Voghera. Barba lunga e incolta, avvolto in poveri abiti, con il viso trasfigurato dalla sofferenza della peste, giunse alla cittadina dove fu scambiato per una spia e messo in carcere, ove rimase per alcuni anni senza lamentarsi e in continua preghiera. E qui morì, dopo aver scritto su una tavoletta: “Chiunque mi invocherà contro la peste sarà liberato da questo flagello”.
Il dramma di questi giorni suggerisce molte riflessioni. La prima: nonostante le nostre illusioni, abbiamo toccato con mano che da soli non ce la possiamo fare. La seconda: la vita è un bene troppo grande per perderla a causa di un virus. La terza: la solitudine personale di questi giorni mette a nudo la fragilità del nostro essere più profondo e la sua insostenibilità.
Nasce qui d’istinto il bisogno di guardare in alto e invocare Qualcuno che ci tenda la mano per non andare a fondo. Chi ha ricevuto il dono della fede sa che solo dal Signore può venire la salvezza. I Santi, che prima di noi hanno affrontato le tragedie di questo mondo sostenuti dalla fede, ci sono vicini per quel mistero di Comunione che ci unisce tutti in un unico abbraccio e, come amici di Dio, intercedono per noi. Poiché molto hanno amato, molto possono ottenere dal Signore. E più di loro, ovviamente, sua Madre, Maria Santissima.
La Settimana Santa, dedicata alla celebrazione della Passione e Morte di Gesù in Croce, illumina della sua luce e del suo significato anche la passione di tanta parte dell’umanità, smarrita di fronte a così grande dolore e a tante vite spezzate. La Risurrezione di Gesù da morte risponde alle nostre domande di senso e dà pieno compimento alla nostra vicenda terrena.

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