Tradizioni, feste e pietà popolare

Tradizioni, feste e pietà popolare

di Padre Tarcisio Marco Mascia


Sardegna: una terra antica, ricca di feste, di sagre, di tradizioni, insomma una terra magica, piena di fascino e di colori. La fede è il fil rouge che attraversa la sua storia, fecondandola e arricchendola di nuova linfa. In essa trovano origine e significato le tante manifestazioni, anche folcloristiche, che si rinnovano nel corso dell’anno. Ricordiamo per tutte la sagra di Sant’Efisio, vera e propria manifestazione di fede, quasi una processione, che si snoda per le vie di Cagliari, in preghiera, al seguito del suo Santo. O si pensi ai riti della Settimana Santa, che in alcuni luoghi assumono una dimensione particolarmente suggestiva e coinvolgente, come ad esempio: la Processione dei Misteri a Castelsardo, il Desclavament ad Alghero, S’Iscravamentu a Iglesias, o S’Incontru a Orosei  e Oliena.

Ogni festa, soprattutto ogni sagra, mette in moto una molteplicità di iniziative, di gruppi, di confraternite, che ne curano con particolare impegno la preparazione e la celebrazione. Spesso ognuna di esse catalizza l’interesse degli amministratori comunali, che a loro volta promuovono la partecipazione della gente e soprattutto dei turisti. Poi, come per gemmazione, vengono promosse altre iniziative, magari con target diversi, anche se non sempre coerenti con lo spirito delle festa. Non solo: per sostenere i costi delle varie manifestazioni gli amministratori provvedono al loro finanziamento, non sempre in maniera disinteressata.

La Chiesa, che custodisce la memoria e il messaggio del santo festeggiato, ne cura in primo luogo la festa liturgica nelle sue varie articolazioni: la celebrazione delle messe e della novena di preparazione, la ricerca del predicatore, la processione solenne con la statua del Santo, la partecipazione delle varie confraternite e dei diversi gruppi ecclesiali, il coinvolgimento dei gruppi folcloristici. Insomma tutta la comunità ecclesiale si ritrova coralmente unita attorno al proprio Santo, rinnovando così un rito che ha ricevuto dai propri antenati e continuando una storia di fede attorno a questa memoria. Con un impegno: continuare questa storia con fedeltà al messaggio ricevuto dal Santo e al Vangelo che egli ha testimoniato con la vita. Garante di questa fedeltà è il pastore, il parroco, responsabile della comunità cristiana locale. È lui che ha il compito di curare il suo “gregge”, i suoi fedeli, in particolare la sua è una cura d’anime; egli deve educarle con l’esempio della vita, con la parola, con i sacramenti, con la sua vicinanza agli ultimi, ai poveri, ai malati. Deve insomma educare alla fede autentica e coerente, facendo in modo che la fede illumini e animi tutte le realtà della vita quotidiana. In questo contesto, spetta a lui garantire che anche la festa del Santo sia interpretata e vissuta con coerenza e fedeltà. Di solito è il parroco che provvede a organizzare un comitato di persone incaricato dei festeggiamenti religiosi in onore del Santo. Non si tratta di un compito facile, perché comporta che si coordinino i festeggiamenti religiosi con quelli civili, di competenza del comune. Talvolta succede che a motivo della festa entrino in rotta di collisione Peppone e Don Camillo (si fa per dire) e ciò genera una conflittualità poco esemplare. Il Santo avrebbe vergogna di tali festeggiamenti.

Il Concilio Plenario Sardo, nel documento conclusivo, ha dedicato un bel capitolo alla pietà popolare e al suo “millenario patrimonio di tradizioni religiose cristiane”. Le espressioni di pietà popolare “manifestano quale profonda azione pastorale, capillare e popolare, le comunità cristiane, che ci hanno preceduto, abbiano saputo esprimere nei secoli. Ma – continua il documento – la stessa pietà popolare oggi si esprime in tempi, ritmi, occasioni e strutture profani, non sempre compatibili con il culto liturgico della Chiesa e le sue irrinunciabili esigenze”. E aggiunge: “La dimensione religiosa cristiana delle feste nate dalla pietà popolare sovente diventa marginale: emergono e tendono a imporsi aspetti ludici e valori profani e talvolta paganeggianti, che prevalgono sui valori religiosi, i quali vengono disattesi, ignorati o anche profanati.” Quindi – conclude – “le espressioni religiose nate dalla pietà popolare nella nostra terra, hanno bisogno di una decisa opera pastorale a livello locale, diocesano e regionale.” (C.P.S. n. 113)

Certamente non si tratta di una operazione facile quella raccomandata dal Concilio Plenario Sardo, in particolare per quel che riguarda i festeggiamenti civili che devono essere ”in sintonia con la festa cristiana e il mistero religioso che viene celebrato”. Perciò giustamente si esortano i comitati organizzatori delle feste a chiedere prima l’approvazione dell’autorità ecclesiastica, quindi a fare tutto di comune accordo.
Ovviamente tutto questo comporta una continua opera di evangelizzazione e di purificazione del patrimonio di pietà del nostro popolo. Ogni comunità cristiana ha bisogno di alimentarsi continuamente alle sorgenti della fede, in particolare alla parola di Dio, alla liturgia e ai sacramenti.

Questo tempo che stiamo vivendo è una stagione di feste, ma la pandemia ne impedisce al momento la celebrazione. Non sarà forse un tempo adatto anche per la riconsiderazione e la rivisitazione di tanti usi, riti e tradizioni?

Padre Tarcisio Mascia




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