La ricostruzione della Cattedrale di Cagliari
La ricostruzione della Cattedrale di Cagliari
nel racconto del cappuccino P. Giorgio Aleo
di Tarcisio Mascia
Di P. Giorgio Aleo (1620-1695) sappiamo che era un frate cappuccino di Cagliari, dove appunto era nato; e che aveva mutato il suo nome di Lussorio in quello di Giorgio. Nel Necrologio dei Cappuccini si legge che fu lettore di teologia e predicatore molto ricercato, stimato e prescelto per molte mansioni anche da parte del governo.
Egli è autore di alcuni lavori di carattere storico, tra i quali ricordiamo una “Storia Cronologica di Sardegna (1637-1672)”, che l’Autore scrisse durante il suo esilio in Sicilia, a Castelvetrano (1672-1673). Quest’opera scritta in spagnolo, come del resto anche le altre opere dell’autore, è stata tradotta in italiano da P. Atanasio da Quartu nel 1907 (si trova ancora manoscritta nell’Archivio dei Cappuccini di Cagliari) e in edizione stampata da parte di Francesco Manconi (1998).
In quest’opera Giorgio Aleo racconta, fra i tanti eventi, la demolizione dell’antica e la costruzione della nuova cattedrale: un’impresa certamente molto costosa, che in primo luogo richiedeva il reperimento di una somma adeguata a coprire tutta la spesa necessaria. Il Vescovo della città, Mons. Pietro De Vico (1657-1676), ritenne di puntare su un’oblazione di dodici mila scudi. Un’altra somma sarebbe stata procurata dai rettori, parroci, vice parroci ed ecclesiastici della diocesi; rilevanti contributi furono offerti anche dai canonici e dallo stesso arcivescovo.
Trovati i fondi necessari per l’impresa, si trattava di realizzarla: “era comun avviso di fabbricar la chiesa affatto di nuovo” ma il sito presentava delle difficoltà notevoli per realizzare una edificio del tutto nuovo. Si dovette quindi ripiegare sul progetto di una nuova pianta “con la capacità del sito della chiesa antica.”
A questo punto mancavano l’architetto e le maestranze capaci di realizzare il progetto. Nell’isola non c’erano persone competenti ed esperte capaci di realizzare un’opera così importante. L’Aleo ci informa che a Cagliari si trovava un ingegnere genovese, un certo Domenico Spotorno, che in Sardegna aveva progettato anche altre chiese. A lui si rivolse l’Arcivescovo.
L’accordo fu presto trovato, quindi lo Spotorno partì per Milano, “donde ritornò accompagnato da dodici muratori e valenti scultori, con i quali e con altri del paese disponevasi all’opera.”
Altro problema: il materiale da costruzione. Le perplessità non mancavano. “La pietra delle colline di Cagliari – osserva l’Aleo – è così dolce che vien consumata dall’aria”. Dopo diverse indagini, lo Spotorno trovò una collina vicina al mare, nei dintorni di Bonaria, che conteneva un materiale “fortissimo”. Allora – leggiamo ancora – “fece tagliare tutta la pietra occorrente in quel sito, ed intanto che tagliavansi quei cantoni, venne trovata una sorgente d’acqua dolce. Vennero pur adoperati i cantoni delle due braccia dell’antica basilica di S. Saturnino, quali erano abbandonati sul suolo, nello stato come caddero; or trovandosi quella basilica in tali condizioni, che non si poteva più sperare la sua restituzione allo stato primiero, perciò l’arcivescovo ordinò il trasporto e l’impiego di quei materiali nella fabbrica nuova.”
A questo punto si poneva il problema del trasporto di tutto il materiale estratto e trasformato in cantoni. Trasportarli su carri trainati da buoi non era possibile a causa della lunghezza e della ripidità del tragitto. Lo Spotorno “superò le difficoltà, facendo passar i carri nella via piana fino al terrapieno che sta alla porta di Villanova; da quel sito poi, con una gomena di canapa grossa e forte, per mezzo d’un congegno per ciò apparecchiato, i presenti cantoni venivano, con molta facilità, levati su fin dentro la chiesa. In questo modo ai carri risparmiavasi la metà del viaggio e la difficile salita.” Quel congegno era qualcosa che forse assomigliava da vicino all’ascensore oggi esistente in prossimità dello stesso luogo di allora?
Tutto ormai era pronto per dare inizio ai lavori. Il 22 novembre del 1669, nel giorno sacro a Santa Cecilia, patrona e titolare della chiesa, venne posta la prima pietra. Il canonico Michele Lilliu fu incaricato di seguire da vicino i lavori, che andarono avanti speditamente. Purtroppo il 7 settembre del 1670 l’Arcivescovo ricevette una lettera della Regina, che gli ordinava di recarsi a Madrid, “avendo bisogno di lui per un affare importantissimo”. L’Arcivescovo, nonostante l’età e gli acciacchi, dovette mettersi in viaggio non senza aver prima incaricato il suo vicario generale di seguire i lavori fino al suo ritorno. E al suo ritorno, nel marzo del 1673, la nuova cattedrale era ormai quasi terminata.
Qui finisce anche il racconto di P. Giorgio Aleo.
Qualche decennio più tardi, per completare il rifacimento del Duomo, si provvederà alla demolizione dell’antica facciata romanica e a sostituirla con una barocca, rivestita di marmo bianco. A causa di alcuni crolli, il rivestimento sarà smantellato e negli anni ’30 del Novecento verrà realizzata dall’architetto cagliaritano Francesco Giarrizzo l’attuale bella facciata in stile neo-romanico-pisano lucchese.
Tarcisio Mascia
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