La visita al «Capo di Sopra» di P. Erhard da Radkersburg nei diari del suo Segretario
Dai diari pubblicati nei Monumenta Historica
Ordinis Minorum Cappuccinorum
La visita al «Capo di Sopra» di P. Erhard da Radkersburg
nei diari del suo Segretario Rembert von Amorbach
Compilato in occasione della visita compiuta in Sardegna dal Ministro Generale dei Frati Cappuccini, Erhard da Radkersburg, nel 1785, il secondo diario contiene preziosi riferimenti a luoghi e persone incontrati dall'autore nella Sardegna di fine Settecento. Da questo abbiamo attinto il resoconto riguardante la visita alle due province della nostra Isola: nell’articolo precedente abbiamo pubblicato quello sulla visita alla Provincia Calaritana, in questo il resoconto sulla visita alla Provincia Turritana.
di P. Tarcisio Mascia
La Sardegna, sin dal 1697, era divisa in due province o circoscrizioni: la provincia Calaritana e quella Turritana. La divisione era stata motivata, sin dall'origine, da ragioni di ordine geografico, oltre che storico: l’Isola era troppo vasta e montuosa, la rete viaria del tutto inadeguata agli spostamenti. Si pensi inoltre che i frati abitualmente si spostavano a piedi, a motivo del divieto di cavalcare (secondo la prescrizione della Regola di San Francesco).
Nell'articolo precedente abbiamo seguito il Ministro Generale nelle sue visite ai conventi della Provincia Calaritana: Cagliari (conventi di Sant' Antonio e San Benedetto), Quartu S.E., Villasor, Sanluri, Barumini, Masullas, Oristano. Dal giro erano stati esclusi i due conventi di Iglesias e Nurri perché fuori mano.
A fine aprile del 1785, terminata la visita alla Provincia Calaritana, il Ministro Generale con il suo seguito si dirige verso Nord per visitare la Provincia Turritana, visita raccontata anch'essa dal suo segretario Rembert von Amorbach nel suo diario.
Lasciatasi Oristano alle spalle, li Ministro Generale, seguendo la strada parallela alla costa occidentale, raggiunge prima Santa Caterina (di Pittinurri) e quindi Cuglieri, sede del più vicino convento della Provincia Turritiana. Era il 20 aprile.
Rembert ricorda così l'arrivo della comitiva: «Verso le 12 con grandissimo caldo, tra molte grandi colline e grandi rocce nude e misere strade verso Cugliari (sic, n.d.r.). Prima del paese c'è una montagna. La strada è così piena di grandi pietre che non si riesce a posare il piede. Noi tutti eravamo spossati e in tutto il nostro viaggio non siamo mai stati così stanchi come oggi». Ricca di dettagli è anche la descrizione del paese e della sua gente. «Questo paese è grande - scrive - ma brutto e montagnoso; gli uomini hanno gli stessi costumi degli altri villaggi. Le donne sono tutte vestite in rosso con una elegante cintura di stoffa verde, un piccolo velo quadrato bianco di stoffa sul capo e il petto ben coperto, sebbene non tutto».
La gente accorse in massa (a detta di Rembert, il paese contava 3.000 anime) a salutare il Reverendissimo: “Nella loro lingua tutti gridavano: Padre santo! Tutti volevano essere toccati e benedetti ... lungo il cammino incontrammo la gente di un altro paese che si trovava a lato del percorso; tutti ci aspettavano già da lungo tempo sotto la pioggia; portavano corone del rosario e crocifissi e tutti volevano sentire la mano del reverendissimo posarsi sul capo”.
La Provincia Turritana aveva all'epoca della visita 13 conventi, ma quelli visitati dal Ministro Generale furono i seguenti, nell'ordine (della visita): Bosa, Alghero, Sassari, Sorso, Nulvi, Ploaghe, Teti, Mores e Ozieri.
il primo convento a essere visitato, dopo quello di Cuglieri, fu quello di Bosa. La città, si legge nel diario, «non è grande e si trova vicino a un grande e bel fiume di nome Bosa (sic!, n.d.r.), pieno di barche, e che a circa un'ora [sbocca] in mare dove c'è un porto naturole, ma molto buono con una torre bene armata posta su una grande rupe verso il mare contro i turchi, che spesso vengono qui a far visita». E ancora: «L'interno della città è brutto; Il duomo è abbastanza bello».
Anche qui l'accoglienza fu straordinariamente calorosa. «Tutta la città venne da noi quasi di corsa e ci seguì fino al convento, che si trova poco lontano, molto comodo sopra un piccolo colle e ha la vista sul mare ... il concorso di popolo fu impressionante e riuscimmo a sbrigarci dalla faccenda delle visite con molta fatica».
Le visite del Reverendissimo erano accompagnate dalla fama della sua santità e quindi dei miracoli, che fiorivano ovunque egli passasse. Si legge, per esempio, che a Bosa «una madre portò in chiesa il suo piccolo che non poteva più camminare ormai da molti anni. Il reverendissimo lo benedì con la sua miracolosa immagine di Maria e il bambino tornò a casa a piedi. Un altro, malato da molti anni, fu trasportato qui e dopo aver ricevuta la benedizione fu istantanee guarito».
Curiosamente Rembert non fornisce quasi mai un resoconto della visita ai conventi, salvo considerazioni di carattere esteriore: forse riteneva che la cosa interessasse ben poco gli eventuali lettori del suo diario oppure che non fosse opportuno farli conoscere ai laici, oppure perché era convinto che la cosa riguardasse solo il Ministro Generale, non lui .
li 30 aprile la comitiva si imbarcò su una nave genovese e dopo una navigazione di ben 9 ore raggiunse Alghero. Rembert aggiunge che «via terra sono 12 ore» e che «le strade sono molto brutte». L'arrivo è salutato da 4 colpi di cannone sparati da una nave con bandiera toscana. Sbarco e arrivo in convento, «che si trova a un buon quarto d'ora dalla città, ma vicino al mare». Anche qui «l'afflusso della gente fu continuo, come a Bosa».
In ogni località il Ministro Generale doveva sottoporsi a un faticoso protocollo, che gli imponeva di incontrare tutte le autorità del luogo, quelle religiose, civili e militari. Le visite ricevute andavano poi ricambiate e accompagnate da relativo pranzo. Così accadde anche ad Alghero. Senza dire del concorso della gente che “fu ininterrotto e il reverendissimo dovette recarsi spesso in chiesa a impartire loro la benedizione».
li 3 maggio riprese il cammino per il convento di Sassari, dove arrivò il giorno 4 maggio. Stessa accoglienza calorosa, tanti incontri. Grande il concorso del popolo. Rembert annota: «Oggi, in modo del tutto straordinario, nel dormitorio non ci si poteva muovere e [la calca] cresceva ancora perché il reverendissimo per intercessionem et benedictionem, con la sua immagine miracolosa aveva per contactum raddrizzato un giovane noto in tutta la città, che sapeva che non riusciva a stendere la mano e le dita».
La mattina del giorno 5 maggio si parte per Sorso, «un grande paese dove vivono anche diversi nobili di campagna. D'estate l'aria del mattino e della sera è molto insalubre ... Qui si coltiva tabacco in gran quantità». Anche qui tanta gente e tante benedizioni del Reverendissimo.
L’8 maggio la comitiva raggiungeva Nulvi, sede di un altro convento. Rembert descrive la fatica fatta per raggiungerlo. «Dovemmo superare cinque volte un fiume senza ponte, poi avanzammo su campi aperti con il più bel grano, ma il sentiero era molto stretto e con erba alta a misura d'uomo da ambo i lati così che ci bagnammo tutti. Finalmente dovemmo salire un monte veramente alto dove il reverendo padre Provinciale e il suo segretario, ambedue di qui, ci attendevano con il padre guardiano». Altra accoglienza trionfale al suono delle campane e incontro con tutte le autorità del luogo.
Da Nulvi a Ploaghe, «un grosso paese che appartiene al marchese di Laconi». Il quale rinnovò la sua simpatia e generosità verso il reverendissimo, come già aveva fatto nel corso della visita alla provincia Calaritana. Infatti, detto Marchese «inviò al convento un grosso vitello, una mucca, sei montoni, sei vitellini, sei porcellini, buon vino, pane, zucchero, caffè e cioccolato».
Ploaghe - scrive ancora l'autore del diario - «ha brutte case e strade ancor più brutte, anche se vi sono molti benestanti. Le donne calzano le scarpe solo nel giorno delle nozze e per il resto mai, ma vanno a piedi nudi e portano un ruvido fazzoletto giallo per velo, anche le benestanti. Per la cattiva strada avevano i piedi così feriti da non poter calzare i sandali».
Dopo Ploaghe, la comitiva raggiunse prima Teti, quindi Mores e infine Ozieri iI 16 maggio. Data la maggiore durata del soggiorno in quest’ultima località, Rembert ha avuto la possibilità di acquisire maggiori informazioni circa la città, la sua gente e il convento dei frati. «Questa città - annota - non è grande, ma ha begli edifici, una buona università, aria buona in tutte le stagioni dell'anno, molti nobili e tutti ci sono molto affezionati. Ci sono molti conventi e preti secolari, tre monasteri femminili ricchi di buon vino, acqua e olio, carne e pesce. C'è un grosso presidio che in quel momento constava quasi tutto di tedeschi. Attorno alla città ci sono molto comode passeggiate, bei giardini, campi e vigneti con olive e grandi ville. Conta circa 18.000 anime. I vestiti del popolo sono in cuoio, come nelle altre regioni dell'isola, ma più puliti. I vestiti delle donne sono quasi tutti rossi, ma sono più coperte delle altre».
Interessanti sono anche le annotazioni circa il convento di Ozieri, definito «bello e grande», dotato di un lanificio, dell'infermeria e di una buona farmacia. La comunità è costituita da una cinquantina di religiosi, che però «vivono abbastanza male».
Troviamo anche alcune considerazioni di carattere generale circa i conventi della provincia Turritana, che «sono più belli e un po' più puliti rispetto all'altra». Si notano diversità anche sulla lingua, perché i religiosi e i signori parlano lo spagnolo, ma «quasi tutti, signori e dame bene e molti religiosi abbastanza bene, parlano italiano».
La regione, rispetto all'altra parte, è più montuosa, ma più ricca di olio, bestiame e tabacco, nonché vino, pomodori, ma - aggiunge - «anche molti ladri che rubano cavalli, buoi e intere greggi». E sottolinea che «sono vendicativi e si sparano e ci sono molti morti anche in letto e nelle case così che se ne contano fino a 500 l'anno e ne deriva che l'isola non è sufficientemente abitata e rimane incolta mentre si possono vedere i terreni più belli e fecondi».
Anche qui a Ozieri il concorso della gente fu grandissimo. Dal mattino alla sera la chiesa e il convento erano affollatissimi «da non potersi muovere». Venivano da ogni parte e anche da molto lontano, portando malati di ogni tipo: storpi, zoppi, ciechi, sordi, ecc. «Si adagiavano alla porta; molti si facevano portare davanti alla cella del reverendissimo e stavano davanti alla sua porta finché egli tornava dalla chiesa dove spesso doveva benedire e imporre le mani anche per tre ore di seguito, fino a quattro o cinque volte al giorno. Sembrava una missione e una vera probatica piscina». Anche qui guarigioni ritenute miracolose, avvenute davanti a tutti. E tuttavia la presenza di tanta folla costringeva il reverendissimo a ricevere «appena due o tre religiosi al giorno per la visita» e tanta era la fatica che non riusciva a dormire quasi per nulla, e «mangiava molto poco e in queste insopportabili condizioni mostrò una pazienza mai abbastanza ammirata». Ovunque egli era fatto oggetto di una venerazione immensa al punto che si cercava in tutti i modi di tagliuzzargli l’abito o il cordone per farne reliquie. «Qui - conclude Rembert - abbiamo avuto ovunque onori e la migliore accoglienza da ecclesiastici e secolari e abbiamo incontrato del buon cuore soprattutto presso i nobili dei due sessi».
Terminata la visita, il 2 giugno del 1785 la comitiva si imbarcò a Porto Torres alle cinque del mattino, «sulla nave postale, piccola ma robusta». Dopo aver costeggiato l'isola dell' Asinara (“è abbastanza grande, ma ora e abitata da alcuni pastori e bestiame»), superarono felicemente le Bocche di Bonifacio e, doppiate le isole Sanguinarie, alle 2 dopo la mezzanotte entrarono nel golfo di Calvi. Qui, nel porto, sbarcarono, dopo 19 ore di navigazione «fortunata anche se scomoda». (2 - Fine)
Padre Tarcisio Mascia
Commenti
Posta un commento