“Sa die de sa Sardigna” e dintorni

“Sa die de sa Sardigna” e dintorni

di Padre Tarcisio Mascia


Nei giorni scorsi i Sardi hanno celebrato “Sa die de sa Sardigna”: una festa, fissata al 28 aprile, per ricordare quando il popolo sardo insorse contro i piemontesi, dopo aver chiesto loro inutilmente di poter partecipare più attivamente alle decisioni riguardanti la nostra regione. Quella reazione si tradusse poi nella cacciata da Cagliari e dalla Sardegna dei 514 funzionari e dello stesso viceré Vincenzo Balbiano. 
Tutto ciò avveniva il 28 aprile 1794, quando l’Isola era sotto il dominio di Vittorio Amedeo III, re del Piemonte e assertore dell’assolutismo regio. Ma i fermenti indipendentisti si erano manifestati già l’anno precedente, nel 1793, nei confronti dei Francesi, che avevano tentato di impadronirsi della Sardegna. Nel gennaio di quest’anno infatti una squadra navale si disponeva a bombardare Cagliari, quando fra le truppe da sbarco scoppiò un’insurrezione che la costrinse a togliere l’assedio alla città e a reimbarcarle, ma decisivo fu anche l’intervento di numerosi volontari sardi, coadiuvati dai loro cani mastini.

Nel febbraio di quello stesso anno un’altra squadra navale, guidata dal giovane tenente colonnello Napoleone Bonaparte (egli ha appena 24 anni e una grande ambizione: vuole coprirsi di gloria) nella notte tra il 19 e il 20 febbraio leva le ancore da Bonifacio e all’alba del nuovo giorno le navi sono davanti all’isolotto di Santo Stefano, ma i venti sono contrari e la spedizione è costretta a invertire la rotta. Soltanto la corvetta sulla quale si trova Napoleone incrocia al largo, attendendo un tempo più propizio, che mai arrivò. Infatti il 25 febbraio di quell’anno, a seguito dell’ammutinamento della truppa, l’impresa fu abbandonata, nonostante il disappunto di Napoleone.

Uno storico ha scritto: “Pur riconducendo alle sue reali e limitate proporzioni questa modesta campagna militare, in cui la Francia non gettò certo il peso della sua potenza bellica, pur ammettendo fra le cause della sconfitta francese la scarsa preparazione, la deficiente conduzione, l’indisciplina delle truppe ed i violenti fortunali, pur riconoscendo che i miliziani nel fronteggiare lo sbarco dei francesi a Quartu e il successivo inoltro dei Francesi non si mostrarono all’altezza del loro compito (Loddo Canepa), non si deve tuttavia neanche sottovalutare l’apporto dato dalle truppe sarde e dai loro ufficiali alla difesa della propria isola. Vi erano stati splendidi episodi di eroismo e mirabili prove di ardimento a Quartu come nel Sulcis, a Cagliari come a La Maddalena. Un’ondata di entusiasmo percorse in quei giorni tutta la Sardegna… Dopo secoli di inerzia e di supina quiescenza, i Sardi ridiventavano finalmente consapevoli del proprio valore…” (N. Sanna, Il cammino dei Sardi, pp. 362)

È di quei giorni esaltanti anche il discorso di ringraziamento a Dio, tenuto da Padre Simon-Maria Reinaldi, ministro provinciale dei Cappuccini, nella chiesa dei Mercedari di Cagliari (oggi N. Signora di Bonaria) il 28 aprile 1793, “in occasione che da’ riconoscenti Cannonieri Sardi tributansi pubblici culti al nostro comun Protettore, e glorioso Martire Sant’EFFISIO (sic!), per la riportata vittoria de’ Sardi nel replicato attacco dato da’ Francesi alla nostra Cagliari.”

Il Predicatore in questo discorso dà una sua lettura dei fatti accaduti di recente, dietro ai quali egli scorge la mano stessa di Dio e l’intercessione del santo Protettore e martire della città, Sant’Efisio. “Audivi orationem tuam et vidi lachrymas tuas” dice Dio al Popolo Sardo. Perciò il Signore ha ascoltato le preghiere dei Sardi e ha concesso loro la vittoria sui Francesi. “Questo è, o Signori, il religioso motivo, per cui i Cannonieri della Batteria detta di Sant’Agostino riconoscenti a sì gran benefizio, porgono in oggi i più vivi ringraziamenti all’Altissimo mirabile sempre in EFFISIO nostro Protettor amoroso.”  

Il Predicatore sembra possedere una conoscenza dettagliata dei fatti accaduti: accenna infatti all’armata nemica, composta da più di sessanta navi, che spedì un’ambasceria “in mezzo alle svolazzanti bandiere de’ tre colori”. L’ambasceria fu sprezzantemente respinta e la vendetta ne fu la conseguenza. Il nemico allora “quante centinaia di bombe mandò contro la nostra Cagliari? Quante migliaja di palle bastevoli certamente a soqquadrarla, a distruggerla, ad incenerirla, a rovinarla?” E tutto ciò non avvenne per caso, perché fu lo stesso Iddio a infondere coraggio nei Comandanti e Subalterni che difesero la città: “Coraggio tanto più sorprendente, e commendevole, in quanto che la maggior parte d’essi erano del tutto inesperti; perché non addestrati in tempo al Cannone. Scuola necessarissima da frequentarsi in tempo di Pace per aver poi la Patria nelle sue Piazze d’Armi abili Cannonieri in tempo di Guerra.”

Se è vero che il Predicatore vede nell’esito felice della battaglia un beneficio del Cielo, egli vede anche i fatti bellici come una punizione dei cagliaritani per il male compiuto: “Quanti scandali, quante mormorazioni, quante oscenità, quante invidie, ed usure nel seno accolgonsi della nostra Cagliari!”
Ma Iddio ascolta le preghiere dei suoi Santi, in particolare quelle di Efisio, “il nostro caro Effisio”. Perciò come Mosè egli può dirci: “Non temete, o Cagliaritani: la fierezza non vi spaventi dell’orgoglioso Nemico: non vi sorprenda l’orribil fragor de’ suoi cannoni, non v’atterrisca lo scoppio pericoloso delle sue Bombe, non vi disanimi il fischio spaventevole delle sue Palle, nò; quel Dio che v’ama cotanto, e protegge, pugna dall’alto per voi, ed invisibilmente combatte.” L’arruolamento di Dio o dei suoi Santi nella propria parte è una tentazione ricorrente.

Il discorso dell’illustre Predicatore continua inneggiando al Popolo Sardo, senza dimenticare di tessere le lodi del “graziosissimo” sovrano Vittorio Amedeo, verso il quale promette fedeltà (ma di lì a qualche mese la musica sarebbe cambiata decisamente). 

Tarcisio Mascia











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