Il gesuita e il cappuccino di Oliena

Il gesuita e il cappuccino di Oliena


di Padre Tarcisio Mascia



Il 2 luglio scorso a San Ramòn de la Nueva Oràn (Argentina) sono stati beatificati Pedro Ortiz de Zàrate, sacerdote diocesano, e Giovanni Antonio Solinas, gesuita sardo di Oliena, dove quest’ultimo era nato. I media, soprattutto quelli dell’Isola, ne hanno parlato, mettendo in evidenza le sue origini sarde, l’ingresso nella Compagnia di Gesù nel 1663, il noviziato a Cagliari, la sua professione religiosa, l’ordinazione sacerdotale nel 1673 e la sua partenza per la missione in Sudamerica nel 1674. Qui P. Giovanni Antonio Solinas si dedicò all’evangelizzazione degli Indios nella Valle del Zenta. E qui il 26 ottobre 1683 arriva una falange di 500 indios, che lo rassicurano di essere venuti in pace. Ma la mattina del 27 ottobre gli indios circondano la cappella e per i missionari non c’è scampo: tutti, compresi 18 laici, vengono trafitti dalle frecce e massacrati. 


Non sappiamo se P. Giovanni Antonio Solinas conoscesse il cappuccino Fra Salvatore da Oliena, suo compaesano. Non essendo neppure allora Oliena una grande città, è molto probabile che i due si conoscessero almeno di nome o di fama.


Del cappuccino Fra Salvatore sappiamo che la sua figura è stata registrata dalle cronache dell’epoca con l’epìteto di “frate silenziario” per il suo grande amore per il silenzio. Dal Necrologio dei Cappuccini Sardi risulta che era nato a Oliena nel 1603, che aveva preso l’abito cappuccino a Ozieri e che la sua religiosa condotta fu di grandissima edificazione per quanti lo conobbero. Dalle cronache sappiamo che egli ebbe il dono delle lacrime, dei rapimenti e delle rivelazioni celesti. Una volta sola, dopo tanti anni, parlò per manifestare una sorprendente manifestazione. 


Si era a refettorio, nel convento di Bitti, per consumare il pranzo in silenzio. Improvvisamente fra Salvatore chiese al Superiore di poter parlare. “Padre Superiore – disse – permette che io faccia un brindisi?”. Fino allora mai nessuno aveva sentito la sua voce, dicono le cronache; sentir poi parlare di “brindisi”, lui il modello di modestia e di raccoglimento, tutto ciò era veramente straordinario.


Ottenuto il permesso, Fra Salvatore disse: “Io mando le mie congratulazioni al mio conterraneo P. Giovanni Antonio Solinas, missionario della compagnia di Gesù, che in questo momento soffre il più crudele martirio per mano dei selvaggi dell’America Meridionale. Or ora è stato preso da un’orda di antropofagi; ne hanno squartato l’addome e il petto, ne han strappato il cuore ed il fegato per inghiottirli quanto più caldi e sanguigni. Ma la cosa che più preme far conoscere e che al mio cuore arreca indicibile consolazione si è che l’anima sua è volata direttamente in cielo tra i beati comprensori”.


Ciò detto, Fra Salvatore, tra l’attenzione commossa dei confratelli, scoppiò in pianto. Informato tempestivamente, il Provinciale dei Gesuiti ricevette molto presto le notizie dettagliate e confermò che il martirio del P. Solinas si era svolto nella maniera descritta da Fra Salvatore.


L’odierna beatificazione del gesuita P. Giovanni Antonio Solinas richiama l’attenzione di tutti anche sulla figura del suo conterraneo fra Salvatore da Oliena, che, pur non avendo ricevuto la corona del martirio, ha ugualmente speso la sua vita nella preghiera e nel silenzio per amore di Dio e dei fratelli.


Ritornando alla beatificazione, che ha avuto luogo in Argentina e sotto la presidenza del Card. Semeraro, prefetto della Congregazione per il Culto dei Santi, riprendendo la nota frase di Tertulliano, il Cardinale ha detto che “il sangue dei martiri è seme di nuovi cristiani”; e ha aggiunto, citando Sant’Agostino, che dal seme di quei pochi è derivata l’abbondanza della messe che siamo noi tutti. “La morte dei suoi Santi è dunque preziosa agli occhi del Signore, benché agli occhi degli uomini non abbia avuto alcun valore – spiega il Cardinale citando ancora il Vescovo di Ippona – ma cos’è che dona valore a quella morte se non la morte del Santo dei Santi, ossia del Signore, che è il primo seme da cui è germogliata la Chiesa?”


P. Tarcisio Mascia


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