In memoria - A tu per tu con Fra Lorenzo Pinna (gennaio 1981)
In memoria - Intervista a cura di P. Tarcisio Mascia, pubblicata su Voce Serafica del gennaio 1981
A tu per tu con Fra Lorenzo Pinna
Nativo di Sardara (CA), 61 anni, da 38 infermiere dei confratelli cappuccini, farmacista dei poveri, ex definitore provinciale, notissimo costruttore di presepi, ma soprattutto frate che prega è Fra lorenzo. In linea con le grandi figure di fratelli laici, che hanno arricchito e impreziosito la storia del suo Ordine, egli ne ha ereditato l'amabile austerità del tratto, una riservatezza che lo sottrae alla curiosità degli ammiratori, un amore eccezionale alla preghiera (annualmente si ritira a pregare sulla vetta selvaggia dell'Arcuentu): chi lo avvicina ha la sensazione di parlare con un uomo di Dio, che a Dio spinge con l'esempio, più che con la parola. Fratello laico per vocazione, gode della stima dei colti e degli incolti, felice di poter distribuire a piene mani e a tutti i frutti della sua carità evangelica. Figura indubbiamente singolare, quella di fra Lorenzo: a lui, perciò, abbiamo rivolto le nostre domande.
D. Di lei, Fra Lorenzo, i confratelli hanno una grande stima e venerazione: Le fa piacere?
Ammiro e ringrazio la bontà e carità dei confratelli, che veramente mi circondano di molta stima e venerazione. In quanto fa parte della carità fraterna, tutto questo mi fa piacere, mentre provo un senso di disagio quando penso che ne è oggetto la mia persona, ben conoscendo quanto son diverso da come essi mi pensano.
D. Durante la sua vita religiosa Lei ha svolto varie mansioni: infermiere dei confratelli, dispensatore di carità ai poveri, costruttore appassionato di presepi, assistente provinciale... si sente pienamente realizzato?
Se il termine "realizzato" debboo intenderlo nel senso di appagamento delle aspirazioni personali a livello umano, debbo dire che mi sento davvero piienamente realizzato, anche se penso che, finché vive sulla terra, l'uomo è solo in via di realizzazione.
D. Serve per realizzarsi più il numero delle attività o la qualità della vita?
Son ben lungi dal pensare che il numero delle attività possa realizzare l'uomo, che per sua natura ha orizzonti che scofinano nell'infinito. La qualità della vita, invece, in quanto impegno costante a raggiungere una piena identificazione con Cristo, serve realmente alla vera realizzazione dell'uomo, nella sua dimensione completa.
G. Gli ha dato più gioia il servizio di assistenza ai confratelli malati o la realizzazione del presepio?
Sono convinto che la gioia vera, cioè quella dello spirito, è in diretto rapporto con la misura del dono di sè agli altri. È facile dedurne che la sorgente principale della gioia, che costantemene sento in me stesso, è l'assistenza ai confratelli infermi.
D. Perché il presepio ha avuto tanta parte nella sua vita?
Il motivo di fondo sta nel fatto che il presepio è una tradizione tipicamente francescana e questo non poteva lasciarmi indifferente. Quando, trent'anni or sono, costruivo timidamente in chiesa il primo presepio, disponevo quasi di nulla e sapevo quasi nulla in fatto di "presepismo". Avevo, però, chiara l'idea da realizzare: costruire un presepio sceneggiato, che ripetesse nel modo più vivo e naturale possibile, le varie tappe del racconto evangelico sulla nascita di Gesù. Per far questo occorrevano tempo, mezzi e conoscenze tecniche. Anno per anno ho cercato di realizzare qualcosa di più e possibilmente di meglio. Così fino a oggi.
Però ho l'impressione che Lei sopravvaluti la mia attività "presepistica", che per me è un'attività molto marginale e direi quasi ricreativa, anche se, per la sua complessità, richiede non poco impegno.
D. Il suo presepio, noto in tutta l'lsola, è un presepio altamente meccanizzato. Ritiene che oggi, in un tempo in cui tutto è computerizzato, la gente sia ancora capace di stupirsi di fronte a un presepio?
Quando lavoro nel presepio, penso in modo particolare ai bambini che verranno a vederlo. Forse sono i soli capaci ancora di stupirsi. Ma sarebbe cosa troppo meschina se lo facessi per questo. Io mi son detto: "Gesù non è venuto in un mondo pietrificato, statico e senza vita, ma in un mondo pieno di vita e di moto. Ecco il perché dei meccanismi. Ai visitatori del nostro presepio vorrei dire: "Badate che al di là dei suoni, delle luci, dei colori e dei movimenti, c'è un messaggio che dovete scoprire".
D. Di solito, quanto tempo impiega a preparare il presepio?
Considerando che incomincio a lavorarci da circa metà ottobre e che vi dedico in media un paio d'ore al giorno, posso dire, grosso modo, che vi impiego complessivamente dalle ottanta alle cento ore.
D. Quante persone lo visitano annualmente?
Personalmente non mi sono occupato di saperlo. Alcune persone, che hanno avuto modo di osservare il movimento dei visitatori, asseriscono che si superano di molto le centomila unità.
D. Il Fra Lorenzo “costruttore di presepi” è molto diverso dal Fra Lorenzo infermiere?
La sua domanda mi pare molto acuta. Ora che mi ci ha fatto pensare, mi rendo conto che è proprio così. Infatti, quando assisto i malati, faccio un pò la mamma; quando lavoro nel presepio, divento bambino. Tanto è vero che ho finito per voler bene a quel pacifico popolo di cartapesta che anima il nostro presepio, proprio come una bambina vuole bene alle sue bambole.
D. Nella sua lunga attività "infermieristica" si è fatto certamente una profonda esperienza degli uomini, soprattutto dei confratelli: secondo Lei, il frate malato è molto diverso nella sofferenza dal frate sano?
In circa quarant'anni che assisto i confratelli malati, generalmente ho notato che il frate si comporta di fronte alla malattia come da sano si comporta di fronte a qualsiasi altra avversità d'un certo rilievo. Perciò, almeno sotto questo aspetto, mi pare di poter asserire che il frate malato non è diverso dal frate sano.
D. Come mai Lei è diventato infermiere?
Per rispondere adeguatamente sono costretto a fare una confidenza. Si era nel dicembre del 1941. Avevo appena ventidue anni e da pochi mesi mi trovavo a Roma, questuante di città. Avvenne che in quei giorni fu organizzata una proiezione del film I Promessi Sposi, in visione riservata ai Religiosi. Vi andai insieme ai confratelli: era la prima volta che entravo in una sala cinematografica. Ricordo che seguivo con molto interesse lo svolgimento del film. Ma, quando sullo schermo cominciò a proiettarsi la veneranda figura di P. Cristoforo che con tanto amore si prodigava nell'assistere gli appestati del lazzaretto, fu per me come un colpo di fulmine: "Ecco - mi dissi - quello che vorrei fare, quello a cui mi sento portato: assistere i malati". Rientrato in convento, sarei voluto correre dal Superiore e chiedere di mandarmi ad assistere i nostri malati. Mi trattenne il fatto che sulla mia salute pesava una diagnosi severa: cardiopatia scompensata. Nelle nostre infermerie non ci sono nè turni di orari nè giornate di riposo. Mi rendevo conto che dal ruolo di infermiere sarei ben presto passato a quello di malato. Cominciai allora a pregare il Signore che, se era sua volontà che io fossi infermiere, ispirasse Lui direttamente il Superiore. Ritenevo che in quel caso l'obbedienza poteva operare il miracolo di darmi salute e resistenza. Passarono così alcuni mesi, quando un bel giorno il Superiore mi prese con sè, mi condusse nell'Infermeria e, spalancandone l'uscio, mi disse: “Ecco, d'ora in avanti questo sarà il tuo regno". Era il 25 aprile del 1942. Da allora sono infermiere, non più cardiopatico, e convinto, oggi ancora più di allora, d'esserlo per vocazione e volontà di Dio.
D. Qual è la virtù più necessaria a un infermiere?
La carità. Altri pensano che sia la pazienza. Da parte mia non riesco a vedere nè la pazienza, nè altre virtù se non come qualità della carità, proprio come tante sfaccettature di un unico diamante.
D. E quale la più necessaria a un malato?
Specialmente quando la malattia si prolunga nel tempo è facile che il malato vada incontro a un crollo di fiducia. Perciò mi sembra che la fiducia, virtù riposante fatta di fede e speranza, sia la più necessaria al malato. Fiducia in Dio prima di tutto, se l'ammalato ha fede; fiducia nei medici, fiducia in chi lo assiste, fiducia nei mezzi terapeutici e particolarmente nelle proprie forze di ripresa.
D. Lei ha anche realizzato una grossa farmacia: come mai?
Tutto ha avuto inizio circa trent'anni or sono, dal giorno in cui un povero venne a chiedermi se per caso disponessi di un certo farmaco, di cui aveva urgente bisogno ma che.essendo molto costoso, non era in grado di procurarsi. L'avevo e glielo diedi. Dopo cominciai a pensare: quanti poveri si troveranno nella medesima situazione Perché non fare qualcosa? Mi gettai la bisaccia sulle spalle feci il giro dei medici che conoscevo. Tornai in convento con la bisaccia strapiena di tante scatolette multicolori. Continuai così fino al 1957, anno in cui, inaugurala l’Infermeria Provinciale, fu adibito un ampio locale come farmacia per i poveri. Da allora questa attività è andata sempre più allargandosi, a beneficio soprattutto di quelle categorie che, fino ad un anno fa, erano escluse dall'assistenza farmaceutica.
D. Secondo Lei la riforma sanitaria offrirà un migliore servizio ai cittadini o resterà un pezzo di carta?
Il fatto che ogni cittadino sa di aver diritto all'assistenza sanitaria è una realtà altamente positiva ed è un grande passo verso la giustizia sociale. Per me il pericolo non è che l'assistenza possa restare sulla carta, ma che possa diventare un freddo apparato statale.
D. Quale il futuro della "sua" farmacia?
Talvolta me lo chiedo pure io. Ritengo che la nostra farmacia possa chiudere i battenti particolarmente per tre cause: 1°) perché le case farmaceutiche non inviano più campioni ai medici in quantità sufficiente (questo perché la nostra farmacia è fornita quasi totalmente dai campioni inviati dai medici); 2°) perché l'assistenza farmaceutica verrà estesa ulteriormente a un gran numero di farmaci non ancora mutuati eppur necessari (in tal caso la nostra farmacia potrebbe più che altro favorire abusi); 3°) la chiusura potrebbe essere determinata da un ordine imposto dalle autorità competenti.
D. Di Lei, Fra Lorenzo, spesso si esalta lo spirito di preghiera e si ricordano con ammirazione i suoi annuali ed eremitici ritiri sulla Giara e sul Monte Arcuentu: perché tanta preghiera e perché questi luoghi?
Perché tanta preghiera? Secondo me non fa nulla di straordinario il frate che consacra alla preghiera tutto il tempo che può disporre. Chi ne ha fatto esperienza sa bene che la preghiera non è soltanto una "pia elevazione dell'anima a Dio", secondo una classica definizione, ma è tutto l'essere che viene elevato, liberato, illuminato, reintegrato e fortificato. L'uomo intero esce dalla preghiera come da un bagno di energia spirituale e non soltanto spirituale, perché nella preghiera è Dio che passa nell'uomo. Questo dico della "vera" preghiera, perché tale non è, e tali effetti non avrà, quella fatta soltanto di formule stereotipate, ripetute macchinalmente, senz'anima.
Mi chiede ancora perché scelgo quei luoghi, cioè quei monti. L'inviolata solitudine che regna sulla cima rocciosa dell’Arcuentu (il mio monte preferito) è quanto mai favorevole perché l'uomo, ritrovata la propria identità, libero di spirito e di mente, si disponga quanto meglio può, ad un appuntamento con l'Assoluto. Trovarsi per venti giorni, solo davanti a Dio solo, è un'esperienza affascinante, che lascia nell'anima un segno profondo. Gli occhi si aprono a vedere ciò che veramente conta nella vita d'un uomo e il contatto immediato con la natura creata, sospinge verso quella benevolenza universale, che affratella in Dio uomini e cose.
D. A suo avviso, la gente di oggi apprezza la preghiera? ne sente il bisogno?
Tutti sappiamo quanto numerosi e quanto interesse destino i vari gruppi e movimenti di preghiera più o meno carismatici. Meno sappiamo di quelle innumerevoli anime immerse nella società, che pregano veramente. Tutti questi dimostrano di apprezzare e di sentire il bisogno preghiera. Ma la gran massa, anche tra i credenti, ricorre alla preghiera solo come a merce di scambio per ottenere grazie.
D. Lei per tre anni è stato anche assistente provinciale, quindi, diciamo - superiore: è stato più facile fare il superiore o l’infermiere o il costruttore di presepi?
Nella vita civile fare ii superiore comporta sicuramente qualche vantaggio, altrimenti non si spiegherebbe l’arrivismo; ma nella vita religiosa, a mio parere, altro non è che una posizione di scomodo, un servizio carico di responsabilità. Per me è molto più facile assistere i malati e più facile ancora, quasi un gioco, costruire il presepio.
D. Lei è un fratello: si sente un frate di seconda categoria, perché non può dir messa e amministrare i sacramenti?
No, non mi sento affatto di seconda categoria, nè complessi di inferiorità di questo genere. Questo ancora e prima d'oggi che si sta riscoprendo e rivalutando ciò che si chiama "vita religiosa allo stato puro", cioè testimoni di vita religiosa senza ministero sacerdotale. Nella vita religiosa in se stessa, lo dico parafrasando S. Paolo, "non è il sacerdozio nè il non sacerdozio che conta, ma l'essere nuova creatura".
D. Perché, accanto alla crisi delle vocazioni sacerdotali, esiste, ancor più grave, la crisi delle vocazioni allo stato di fratelli laici?
Ritengo che ai motivi di fondo che hanno determinato la crisi delle vocazioni sacerdotali, se ne possano aggiungere altri che incidono sull'orientamento dei giovani verso lo stato di fratello laico, come ad esempio quella errata mentalità, ancora diffusa tra le nostre popolazioni, che se un frate non celebra messa è solo un mezzo frate .
D. Se potesse fare qualcosa per i fratelli laici, cosa farebbe?
E' mia convinzione che l'Ordine Francescano non può esprimere totalmente il suo carisma se vengono a mancare i fratelli laici, perché la loro vita semplice e completamente dedita ai più umili servizi, manifesta, più che in altro modo, il carattere di minorità tipicamente francescano. Posso fare qualcosa? Certo! Se riesco a mantenere il mio entusiasmo sempre fresco e il mio sorriso sempre pronto a cantare al mondo la mia gioia di essere frate e frate-laico, ho già fatto qualcosa. Ma, se potessi, vorrei andare incontro alla gioventù in arrivo, vorrei avvicinare magari i più semplici, quelli che non riescono a farsi strada perché meno dotati, e che il mondo respinge perché non riconosce suoi. Ad ognuno di questi vorrei tender la mano e dire: "Fratello, se il mondo non ti appaga perché dentro di te senti vibrare aspirazioni più alte e più sante, se ti senti capace di guardare al di là dei sensi, e se hai molto coraggio, vieni con noi: imparerai ad amare Dio e i fratelli fino all'eroismo".
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