Lettere agli amici - Francesco vivo

 Francesco vivo


Lettere agli amici



Anni fa comparve un libro su S. Francesco, che s'intitolava "Francesco e gli amici", di Nazareno Fabbretti: si trattava di un nuovo incontro con questa colossale figura d'uomo e di santo, fondatore dell'Ordine dell'amicizia (Santucci). Chi sono gli amici del Povero d'Assisi? "I più significativi e famosi sono gente del suo Ordine, compagni (e non solo maschili) del suo avventuroso e meraviglioso "viaggio evangelico": Leone il mite, Masseo il bello e saggio, Ginepro il pazzo, Antonio il colto, Pacifico il poeta, Elia l'imprenditore, Silvestro l'uomo delle grotte. E poi naturalmente la meravigliosa Chiara, la simpatica e gastronomica... Giacomina dei sette Soli". 

Non ci stupisce allora trovare, tra gli scritti di Francesco, alcune lettere (meglio sarebbe chiamarle "bigliettini"), scritte ad alcuni di questi amici: a frate Leone, a frate Antonio, a Frate Jacopa, a Chiara e a un innominato ministro. 

Con l'aiuto dell'Autore del libro citato tentiamo di far la conoscenza di questi simpatici amici di Francesco, per apprezzare meglio il tenore, i richiami e le suggestioni dei testi in questione. 




Frate Leone 


Leone fu l'amico e il fratello più di tutti vicino a Francesco; il più intimo e discreto, quello messo a parte d'ogni sofferenza e d'ogni letizia. Fu anche segretario, consigliere, confessore, e ministro dei sacramenti, dei quali Francesco aveva sempre un profondo bisogno. 

Di temperamento riflessivo e pacato, Leone sapeva ascoltare senza interrompere. Era attento custode d'emozioni e visioni, uno che prendeva atto d'ogni parola e d'ogni evento prima per viverili con Francesco, poi per tramandarli intatti ai frati che sarebbero venuti in seguito. Perciò, scrivendogli, Francesco si rivolge a lui "come una madre", chiamandolo "figlio mio" e insieme dichiarandogli la stima e il rispetto della libertà, quali sono dovute a un vero amico: "In qualunque maniera ti sembra meglio di piacere al Signore Iddio e di seguire i suoi passi e la sua povertà, fallo con la benedizione del Signore e con la mia obbedienza". 


Frate Antonio 


"II frate minore non sia raccoglitore di libri", soleva dire Francesco ai suoi frati. E sul possesso dei libri Francesco fu sempre irremovibile. Temette sempre il sapere che diventa in un modo o in un altro potere... E su questo punto non volle mai fare eccezioni. Una però la fece. E la fece con tutte le regole, con tanto d'autorizzazione scritta e di firma autografa. Ma non la fece per uno dei suoi primi e più vicini compagni, bensì per un giovane frate straniero, un portoghese che s'era rivelato improvvisamente grande oratore e teologo e soprattutto uomo di Dio. Quel frate, non ancora trentenne, si chiamava Antonio. 

"A frate Antonio, mio vescovo. Ho piacere che tu insegni ai frati la sacra teologia, a patto che non si spenga in te lo spirito dell'orazione. Stammi bene": lettera brevissima, la più clamorosa eccezione di questo tipo fatta da Francesco. E l'unica finché visse. 


Sorella Chiara 


Nessuno conosceva come lei la pazzia di Francesco. Chi lo amava e lo seguiva non poteva accettare compromessi. E per Chiara era questo il Francesco che lei aveva seguito sino a fuggire di casa, scatenando ira, scandalo e pietà in città e famiglia. Il Francesco re delle feste, idolo delle migliori ragazze d'Assisi, il generoso spendaccione con l'ambizione del raffinato cavaliere, il menestrello capace d'improvvisare le più belle serenate, non l'aveva minimamente interessata. Di giovani, più nobili, più belli, più ricchi del figlio di Pietro di Bernardone, ce n'era quanti la figlia di Favarone degli Offreducci avesse voluto. Lei amava il pazzo, il mendicante, lo scandaloso Francesco vestito di stracci, ricco solo della sua libertà, servo di Dio nei lebbrosi e nei mendicanti. 

Nei due brevissimi scritti a lei indirizzati, Francesco impegna sé e i suoi frati ad "avere sempre di voi, come di loro, cura diligente e sollecitudine speciale"; e si rivolge a Chiara e alle altre sorelle chiamandole "mie signore", in segno di quella rispettosa venerazione, che la fraterna amicizia non avrebbe potuto cancellare o interrompere. 


Donna Jacopa 


"Ecco, abbraccia morto colui che hai amato da vivo", cosi disse frate Elia a questa nobildonna romana, accorsa al capezzale del Santo, affinché ne curasse il corpo prima della sepoltura. 

Era stata lei a far conoscere Roma a Francesco ed era riuscita in casa sua, a costringerlo affettuosamente a fargli prender gusto a dei dolci di farina, miele e mandorle che lui poi accettò sempre volentieri. Fu anche l'unica donna ad assistere all'agonia di Francesco, l'unica a riceverne fra le braccia il corpo ancora caldo di vita, l'unica ad acconciarlo amorosamente per l'ultimo viaggio nella tomba. 

Perciò nella lettera inviatale prima di morire, Francesco la chiama "carissima" e l'invita ad "affrettarsi a venire a Santa Maria degli Angeli", portando l'occorrente per la sepoltura, nonché i dolci che era solita dargli durante la malattia a Roma. 


Un ministro innominato 


Ultima, in questa rassegna della piccola corrispondenza di Francesco, la lettera a un ministro senza nome, ma non meno amico degli altri personaggi incontrati. A lui dà preziosi e fraterni consigli di "buon governo": "Ogni persona che ti sarà di ostacolo, siano frati o altri, anche se ti picchiassero, tutto questo devi ritenere per grazia ricevuta ... Ama quelli che ti fanno queste cose e non pretendere da loro altro se non ciò che il Signore ti darà". E l'amore deve essere tanto misericordioso, che "nessun frate al mondo, avendo peccato, dopo aver visto i tuoi occhi, se ne ritorni via senza il tuo perdono". Sviluppando il discorso sulla misericordia e rivolgendosi idealmente a tutti i frati, li esorta a tenere, nei confronti di chi ha sbagliato, un comportamento tale da "non farlo arrossire, né dicano male di lui, ma ne abbiano grande misericordia e tengano assai segreto il peccato del loro fratello". 

Modesta, piccola, dimessa questa corrispondenza di Francesco, ma tutta percorsa da un caldo fremito di affettuosa amicizia, che l'occhio attento percepisce ora nella scelta dei destinatari, ora nell'aggettivazione adoperata, ora nel lessico o nel giro di frase: uno stile che rimane inconfondibilmente suo, del piccolo, umile e spregevole Francesco.


Tarcisio Mascia


Commenti

Post popolari in questo blog

Il Cantico di frate Sole ottocento anni dopo

Padre Atanasio Piras da Quartu Sant’Elena - Ricordo di un grande studioso

Ricordo di Padre Bonaventura Margiani da Mogoro (1930-20005)