P. Giorgio De Dominicis da Riano

PROFILI



P. Giorgio De Dominicis da Riano


«Il frate che non aveva paura»




P. Giorgio De Dominicis da Riano


di Padre Tarcisio Mascia



Un frate di alto profilo, che trascorse nell'Isola gran parte della sua vita – Lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale e la beatificazione di fra Ignazio da Laconi – I primi bombardamenti – Il convento, rifugio per quanti erano rimasti senza casa – Le opere di misericordia – L'urna del santo trasferita a Nurri – Il ritorno a Roma.


P. Giorgio De Dominicis (1874-1970) fu una delle figure più note e benemerite, che vissero e operarono in Sardegna nel secolo scorso. Pur appartenendo alla Provincia Romana, trascorse nell'Isola ben 26 anni e ricoprì numerosi incarichi in anni estremamente difficili. Fu infatti guardiano del convento di Cagliari, Direttore e Precettore nel Seminario Serafico, e Direttore del periodico Voce Serafica della Sardegna dal 1930 al 1946. Durante il secondo conflitto mondiale fu Delegato del Ministro Provinciale per la Sardegna, profondendo tutte le sue cure per accogliere nel convento, di cui era superiore, tutti coloro che bussavano alla porta per chiedere aiuto. 

Degli anni della guerra e dell'opera assistenziale svolta dal convento di Cagliari, P. Giorgio ci ha lasciato una relazione molto interessante, alla quale abbiamo attinto per compilare questa nota.

Il 1° settembre 1939, con l'attacco tedesco alla Polonia, ebbe inizio il conflitto mondiale. Il 10 giugno 1940 Mussolini, dal balcone di Piazza Venezia, dichiarò l'entrata in guerra dell'Italia a fianco delle truppe tedesche. Appena sei giorni dopo, il 16 giugno, giorno della beatificazione del Beato Ignazio, ebbero luogo a Cagliari i festeggiamenti in suo onore, ma anche i primi bombardamenti aerei sulla città.

Nella Relazione di P. Giorgio si legge: «Alle ore 16.30 uno scoppio spaventoso ed improvviso destò l'attenzione e lo spavento di tutti. Si comprese subito che il feroce nemico aveva incominciato la sua opera devastatrice. Sull'aeroporto di Elmas e nel porto di Cagliari fioccavano le bombe. La chiesa era stipata di devoti. Un timore quasi folle invase la folla: grida pianti lacrime sugli occhi di tutti; vi erano persone che volevano fuggire, altre svenivano, molte erano riarse dalla sete: una scheggia ad aumentare il panico, ruppe i vetri della cappella della Madonna. In mezzo a tanta tanta desolazione ero quasi solo ad incoraggiare e mettere calma.»

La situazione era diventata drammatica all'improvviso, capitata in una giornata storica, attesa da tanti anni: la beatificazione di Fra Ignazio da Laconi. Dopo il fischio della sirena, che annunciava il cessato allarme, P. Giorgio telefonò all'Arcivescovo perché non venisse per la funzione in chiesa e diede inizio, lui stesso, alla celebrazione liturgica in onore del Beato Ignazio. Scrive che «fu veramente commovente, e la commozione giunse al colmo quando si scoprì il bel quadro del Marghinotti posto sull'altare, sotto cui a caratteri grandi era scritto: BEATO IGNAZIO DA LACONI. I fedeli scoppiarono in applausi, si gridò evviva, molte persone piangevano di gioia. Tenni un breve discorso e si chiese al novello beato la pace. In quel giorno fu evidente la protezione del Beato: delle molte bombe cadute sul porto neppure una colpì i molti piroscafi in esso ancorati, alcuni dei quali erano carichi di mine. Le bombe, come guidate da mani invisibili, cadevano tra un piroscafo e l'altro, in guisa che gli stessi marinai ne rimasero stupiti. Non fu così nel porto di Elmas: diversi soldati perirono, alcuni furono feriti, un capannone andò distrutto.»

I bombardamenti indicarono che era iniziato un periodo di grande sofferenza per la popolazione e in particolare per il convento. «Dopo questo primo bombardamento gli allarmi non cessarono più, e di notte e di giorno, spesso si era costretti a ricorrere ai rifugi.» Perciò P. Giorgio ritenne opportuno scavare un rifugio nella roccia del giardino del convento, che risultò provvidenziale, «giacché servì non solo a salvare il convento e la famiglia religiosa, ma tutti coloro che abitavano in convento, tutto il personale della casa di riposo, e tutti coloro che stavano nei pressi del convento e s'incontravano a passare per la strada.»


A seguito dei bombardamenti del 1943, P. Giorgio, quale Superiore del convento, ritenne opportuno mettere al sicuro la famiglia religiosa, soprattutto quei frati che erano rimasti scioccati dalle bombe. In convento rimasero lo stesso P. Giorgio e tre fratelli laici, tra i quali fra Nicola. «Dopo il 13 maggio lo sfollamento fu generale: abbandonarono la città anche le autorità, non solo per il timore dei bombardamenti, ma anche perché ormai si riteneva come certo e vicino uno sbarco dei nemici: nella città si preparavano in tutta fretta le opere di difesa. La città era rimasta deserta.»

Intanto nella chiesa le celebrazioni continuavano regolarmente secondo il solito orario. La relazione di P. Giorgio rivolge un'attenzione tutta speciale alle opere di misericordia esercitate in tutto il periodo della guerra. Si legge che «dopo i bombardamenti del febbraio si riversarono nei dintorni del convento più di un migliaio di persone: circa 600 si rifugiarono nelle grotte di Casa di Riposo e circa 400 nelle grotte dell'anfiteatro romano. Nei primi giorni mancò il pane, non potendo lavorare i forni della città: il poco che si aveva, quando non mancava del tutto, veniva da Sassari, che in questa circostanza fu veramente città sorella. Avendo avuto modo di poterne avere dall'Aeronautica, ne dispensavo circa due quintali al giorno, parte all'uno parte all'altro rifugio, specialmente ai bambini; e un giorno dovetti provvedere completamente ai 300 ricoverati in Casa di Riposo, essendo rimasti tutti, per colpa del fornitore, senza pane. Un orfano di padre e di madre, rimasto abbandonato, il municipio lo affidò al convento ed è stato tenuto più di un anno. Quattro orfani, avendo perduto in 13 giorni il babbo e la mamma, per nove mesi sono stati mantenuti dal convento, mattina e sera. Dal marzo 1943 al novembre 1944 sono state preparate 50 minestre al mattino e 50 alla sera, tutti i giorni, ai ricoverati nell'Albergo del Povero. Dal mese di luglio 1944 al settembre dello stesso anno sono state preparate 150 minestre al mattino e alla sera agli assistiti del comune. Più di una volta famiglie intere non avendo di che sfamarsi in casa sono venute a sfamarsi in convento per non morir di fame…»

P. Giorgio fa notare che, a fianco di questa attività assistenziale, il convento svolse anche un'attività spirituale non meno preziosa con la predicazione di ritiri, esercizi spirituali e la preghiera. Oltre a tutto ciò egli accoglieva quanti bussavano alla porta chiedendo alloggio. Scrive: «Essendo la città distrutta e non essendovi alberghi, tutti coloro che arrivavano a Cagliari, civili e militari, tutti si recavano in convento. Alla stazione, se domandavano dove poter alloggiare, gli si rispondeva: ai Cappuccini. E arrivavano a tutte le ore, di notte e di giorno, come a tutte le ore partivano. A tutte le ore, specie di notte, era sempre pronto a svegliare e ad aprire la porta Fra Nicola. Per la cucina, vi era Fra Crispino. Ridire il nome di tutti coloro che hanno alloggiato in convento è impossibile…» Trovarono alloggio in convento anche Autorità Civili e istituzioni pubbliche. Dietro preghiera dell'Arcivescovo, furono ospitati in convento tutti i parroci che a turno, settimana per settimana, venivano a prestare assistenza ai propri parrocchiani.

Durante il periodo dei bombardamenti si provvide anche a mettere in salvo le cose più preziose, e in primis l'urna del Beato Ignazio con le sue reliquie. Il due giugno 1943, caricata su un autocarro militare, essa fu portata a Nurri e sistemata nella chiesa del nostro ex convento, affidandone la custodia alle monache cappuccine, anch'esse sfollate. Sarà riportata in convento, a Cagliari, il 26 aprile 1944.

A conclusione del suo racconto, P. Giorgio osserva: «Si è salvato così il convento e quanto trovavasi in esso. Anche i religiosi tutti salvi, e questo non senza prodigio, di cui bisogna ringraziare la Divina Provvidenza e la Vergine Santa e il Beato Ignazio per la loro larga protezione.»

Il sindaco di Cagliari Gavino Dessì Deliperi ebbe a dire in una pubblica adunzanza: «L'uomo cui Cagliari più deve in questa sciagura è il P. Giorgio.» E aveva ragione. 

P. Giorgio, il frate che non aveva avuto paura delle bombe, continuerà il suo prezioso lavoro a Cagliari fino al 1946, e poi a Roma, dove si concluse il suo pellegrinaggio terreno il 4 giugno 1970.

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