Padre Bonaventura da Nuoro - Un grande missionario sardo

 Un grande missionario sardo

Padre Bonaventura da Nuoro

Partecipò alla «missio antiqua» del 1645


(1598-1649)




Il popolo del Congo incontra il Vangelo


di Padre Tarcisio Mascia



Quando il 24 maggio 1598 il futuro Padre Bonaventura (al secolo Antonio Angelo Pirella) vedeva la luce a Nuoro, i Cappuccini erano arrivati in Sardegna solo da pochi anni, nel 1591, senza mai mettere piede nel paese barbaricino. Questa circostanza ci fa capire alcuni dettagli della sua biografia. In quel periodo la Sardegna era un dominio spagnolo e dunque non fa meraviglia se, per acquisire una formazione superiore, si andasse in Spagna a frequentare qualche scuola rinomata. 


Lo storico P. Cavazzzi scrive a proposito di P. Bonaventura che questi, «mosso… dal desiderio di una più vasta coltura lasciava la Sardegna per frequentare nella Spagna  la celebre Università di Salamanca. Attratto dalla vita umile ed operosa dei Cappuccini lasciava il mondo per professare la loro Regola nella Provincia di Castiglia, ove si distinse per dottrina, zelo e virtù (tanto) che meritò di essere guardiano nel convento dii Valladolid, definitore provinciale e lettore di S. Teologia». (Cfr. P. Raffaele da Santa Giusta, Voce Serafica della Sardegna, 1931, p. 99. 114).


P. Bonaventura chiese dunque di essere accolto tra i Cappuccini nella Provincia di Castiglia (Spagna). Qui vestì l'abito il 19 ottobre 1629 e professò il 20 ottobre del 1630. Ricevette l'ordinazione sacerdotale nel 1637. Più tardi chiese e ottenne di poter andare missionario nel Congo Angola.


Ebbe inizio allora, nel 1645, quella che viene indicata come la «Missio antiqua». Il vastissimo territorio dell'Africa equatoriale (Congo, Angola, Matamba, Makoko, Casange, Loanga, ecc.) fu il territorio nel quale si svolse appunto la «Missio antiqua». Il primo drappello di missionari riuscì a raggiungere il Congo solo nel 1645, ma dovettero fare i conti con le resistenze dei due governi coloniali della Spagna e del Portogallo. Tra loro c'era anche P. Bonaventura da Nuoro.


Nel 1619 il re del Congo, Alfonso II, aveva chiesto al Papa Paolo V che venissero inviati nel suo regno i missionari cappuccini. Il Papa accolse la richiesta e l'Ordine Cappuccino accettò l'invito, affidando la missione alla Provincia di Castiglia. Dopo un primo tentativo fallito, nel 1645 si potè inviare una schiera di missionari. Fra i sei cappuccini della Provincia spagnola che furono scelti per la nuova missione in Africa, figurava il P. Bonaventura da Nuoro.


Il 4 febbraio 1645 i missionari lasciarono Sanlúcar per l'Africa. Una tempesta li sorprese in pieno oceano, costringendoli a riparare alle Isole Canarie. Pochi giorni dopo ripresero il mare, costeggiando l'Africa. Dopo quattro lunghi mesi, i missionari giunsero alla foce del fiume Zaïre, e gettarono l'àncora a Punta Padron. Lo sbarco fu allietato da buoni auspici: presso il fiume essi trovarono una cappelletta cattolica molto povera, fatta di canne. Lo sbarco avvenne il 25 maggio 1645, giorno dell'Ascensione del Signore. Tra i primi che sbarcarono c'erano P. Bonaventura della Sardegna e P. Gennaro da Nola. Ma dovendo raggiungere Pinda, i missionari risalirono il fiume e incominciarono a misurarsi con l'acredine e le insidie dei protestanti olandesi. Per sfuggire alle loro aggressioni, i missionari si travestirono per non essere riconosciuti e, accompagnati dal Capitano della nave, si avviarono in fretta verso Pinda, ove furono accolti con grandi onori dal Conte Daniele di Sogno. I missionari poterono entrare nel capoluogo dello Stato di Sogno, ovunque accolti festosamente dalla popolazione del luogo. Essi si fermarono a Pinda per qualche tempo, studiando la lingua del posto e servendosi, nel frattempo, di interpreti per le istruzioni al popolo. P. Bonaventura assolse egregiamente il compito di catechista: tutti lavorarono molto bene, iniziando il loro lavoro la vigilia di Pentecoste (3 giugno 1646), amministrando un migliaio di battesimi.


Dopo un po' di tempo, giunse a Pinda un inviato del re del Congo per sollecitare i Cappuccini a recarsi dove li aveva destinati il Sommo Pontefice. Ma poiché i rappporti tra il re e il conte erano alquanto tesi, ci fu un piccolo contrasto fra i Cappuccini e il Conte, il quale mal sopportava che essi andassero a prestare il loro servizio presso il re. I missionari allora, lasciati a Sogno quattro sacerdoti e un fratello laico, si diressero verso San Salvador, capitale del Congo. Fu un viaggio molto faticoso e pieno di pericoli. Il prefetto della missione, P. Francesco da Roma, che era accompagnato da P. Bonaventura, così racconta: «In sei giorni attraversammo una plaga senza mai trovare abitazione, e si dormiva o assolutamente all'aperto o sotto quattro rami d'albero. Fu un vero miracolo se fra tanti stenti e privazioni non ricademmo malati.» Giunti a San Salvador, i Cappuccini furono accolti con giubilo dal re Garcia II e dal popolo. Il prefetto consegnò al re una lettera privata del Papa, che conteneva auguri e felicitazioni e il Breve di presentazione dei Missionari. In breve tempo la città raccolse i frutti del loro zelo missionario: apertura di scuole, costituzione di sodalizi, creazione di opere di misericordia.


Ma intanto i missionari dovettero fare i conti con l'ostilità dei protestanti olandesi, che avevano il loro centro in S. Paolo di Luanda. I quattro missionari cappuccini, appena giunti dall'Europa, furono arrestati ed espulsi. Il re, risentito per l'affronto, affidò a P. Bonaventura l'incarico di presentare la protesta del Congo al Governatore di Luanda e di domandare la scarcerazione dei missionari. La missione diplomatica, questa volta, andò a vuoto, perché, quando P. Bonaventura giunse a San Paolo, i missionari avevano già ripreso il mare. Ma a P. Bonaventura non interessava tanto la missione diplomatica quanto la missione dell'evangelizzazione. Egli cercò perciò di profondere il suo zelo missionario per la salvezza delle anime. P. Bonaventura amministrò i sacramenti della penitenza e dell'eucaristia, confortando tutti con la sua parola ed esortandoli a qualsiasi sacrificio per la fede. 


Poco dopo il suo ritorno nella capitale del Congo, P. Bonaventura cercò di risolvere quel dissidio tra il re Garcia e il Conte di Sogno. Lavorò moltissimo per la pace, tra enormi sacrifici e incomprensioni. Tornato a San Salvador, costruì una scuola. Con l'aiuto di un interprete, imparò molto presto la lingua kikongo. Fondò quindi la stazione missionaria di Mbamba. Egli – scrive P. Raffaele da Santa Giusta – «si dedicò tutto all'evangelizzazione di quei popoli, istruendoli e catechizzandoli con l'esempio e la parola. A scopo di studio della lingua del luogo dimorò per qualche tempo a Pinda, servendosi, pertanto, dell'opera degli interpreti per l'istruzione del popolo». Gli fu possibile, quindi, «dare ordine alle scuole nascenti, preparando per loro sillabari, grammatiche, e catechismi adattati al modo di intendere di quei popoli barbari… Si andava così risolvendo, per merito suo, il delicato problema della lingua da parte dei missionari, problema che non fu risolto neppure dai Domenicani, Francescani, Carmelitani Scalzi e Gesuiti, costretti a servirsi spesso dell'opera degli interpreti, i quali spesso compromettevano l'opera di propaganda della fede e, come scrisse il Cavazzi, furono una vera disgrazia per la missione e di grande impedimento per la conversione delle anime.»


Una prova della non comune conoscenza della lingua congolese da parte di P. Bonaventura si ha nella sua collaborazione al «Vocabolarium latinum et congense ad usum missionariorum transmittendorum ad Regni Congi missiones», il cuo manoscritto si conserva nella Biblioteca Nazionale di Roma. «Ben meritava – scrisse Ottorino Pietro Alberti - l'elogio, che di lui lasciò scritto un suo compagno di missione, il P. Teruel: fue uno de los mas activos operarios evangelicos del primer periodo en el Congo.»


P. Bonaventura riprese intanto l'opera di mediatore di pace tra San Salvador e Luanda. E fu la pace. Era però la stagione delle piogge e il viaggio di ritorno fu molto faticoso. Quando giunse a San Salvador verso la fine di aprile, aveva contratto la febbre malarica e cadde gravemente malato. Il 14 maggio 1649 morì per gli strapazzi sofferti. Scrive P. Raffaele: «Quando si diffuse la notizia della morte di P. Bonaventura da Nuoro, il re del Congo e la corte non nascosero tutta l'amarezza che cagionò la perdita di un uomo che aveva  reso tanti servizi allo stato in momenti così delicati e difficili, ma soprattutto pianse il popolo che lo amava come un padre, e i confratelli, che in lui veneravano il santo compagno di lavoro, che aveva saputo coltivare così bene un campo tanto difficile e faticoso.»


Concludendo la sua ricerca su P. Bonaventura, Ottorino P. Alberti scrisse di aver voluto delineare questa nobile figura di sardo nel «desiderio di recuperare i valori della nostra tradizione gloriosa, e nella speranza che le giovani generazioni cerchino di scoprire il vero volto della Sardegna, riflesso in quegli uomini che ne hanno fatto la storia e la gloria.»


P. Tarcisio Mascia

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