Sangue a Damasco - L'omicidio di P. Tommaso da Calangianus
Sangue a Damasco
L'omicidio di P. Tommaso da Calangianus
Un evento che sconvolse l'opinione pubblica europea
P. Tommaso da Calangianus
e Ebrahim Amarah
Il cinque febbraio 1840 P. Tommaso da Calangianus, missionario cappuccino a Damasco in Siria dal 1807, chiamato, al tramonto del sole, da un domestico ebreo a casa sua perché vaccinasse un suo figlio, fu preso e sgozzato per farne sgorgare il sangue da consegnare poi al Gran Rabbino per consumarlo nella festa religiosa degli Azzimi.
Quel delitto fece grande scalpore e se ne parlò in tutta Europa, dando inizio, secondo alcuni storici, al movimento «sionista», che si proponeva di dare una patria agli Ebrei.
P. Tommaso era uno dei 42 missionari sardi (su un totale di oltre 1800 frati), appartenenti: 25 alla Provincia Turritana, 5 alla Calaritana, 11 alla Provincia di Sardegna (cioè prima del 1697, anno della divisione) e 1 alla Provincia di Castiglia. La maggior parte di essi fu inviata in Congo-Angola e Sao Tomé; altri furono mandati in Medio Oriente: Turchia, Georgia, Damasco, Siria, Libano e Creta. Troviamo missionari provenienti dalla Sardegna anche in territori molto lontani, fuori dal Continente europeo: ne troviamo in Cile, in Colombia. Infine, ritroviamo missionari sardi anche in Svizzera, e più precisamente nella Rezia, dove la Chiesa cercava di recuperare alla fede cattolica i cantoni che erano passati alla Riforma Protestante.
L'impegno dei missionari cappuccini sardi durerà fino alla soppressione degli istituti religiosi e gli anni immediatamente successivi. Poi il flusso si arresterà. Riprenderà, ma in termini meno consistenti, nel secolo successivo, cioè negli anni che precedettero la seconda guerra mondiale, ma fu solo una fiammata, presto spenta dalla guerra. Il lavoro missionario riprenderà nel secondo dopoguerra in uno scenario e con modalità del tutto cambiati.
Della missione in Siria fecero parte quattro missionari sardi, e cioè: P. Francesco da Ploaghe (1780-1852), P. Agostino d'Alghero (1797-1864), P. Francesco Antonio da Sassari (1817-1972) e infine P. Tommaso da Calangianus (1777-1840).
P. Tommaso era giunto in Siria assieme a P. Francesco da Ploaghe nel 1807, il quale fu poi nominato prefetto apostolico con sede a Beirut e incaricato della parrocchia latina. Morirà qui a Beirut nel 1852.
P. Tommaso da Calangianus era nato a Calangianus nel 1777. A diciotto anni vestì l’abito cappuccino nel convento di Ploaghe. Dopo gli anni di formazione e di studio, fu ordinato presbitero. Fu quindi mandato a Roma presso la Congregazione di Propaganda Fide, dalla quale fu aggregato ai Missionari Apostolici assieme al P. Bonaventura da Sassari e P. Francesco da Ploaghe. Nel 1807 i missionari arrivarono a Damasco. Qui il P. Tommaso lavorò per 33 anni e fu protagonista di numerosi episodi nei quali rischiò la vita a motivo del suo ministero apostolico. P. Tommaso divenne ben presto famoso perché, esperto di medicina, vaccinò migliaia di bambini senza distinzione di appartenenza religiosa. Per questi suoi meriti P. Tommaso divenne unn personaggio pubblico, amato e rispettato, che poteva circolare liberamente in tutta la città e che addirittura frequentava il palazzo del sultano. La sua assistenza materiale era apprezzata anche dalla comunità ebraica.
Ma il cinque febbraio del 1840 un certo Daud Arari, lo invitò a casa sua perché vaccinasse un suo figlio, ebreo di origine e di fede religiosa. P. Tommaso si recò da lui all’ora del tramonto. Entrato in casa di Arari, il Padre fu subito circondato da un gruppo di ebrei che l’afferrarono, gli bendarono gli occhi e gli legarono i polsi. Uno dei più affezionati al Padre impugna il coltello e lo scanna, facendone sgorgare il sangue nella patera d’argento. Il sangue sarà poi riversato in alcune fiale di cristallo e portato più tardi dal Gran Rabbino Kakan Jacub per consumarlo nella festa religiosa degli Azzimi. Per cancellare ogni traccia del delitto, denudano il cadavere, ne bruciano gli indumenti, l’abito, il cingolo, i sandali, preservando di proposito un foglio manoscritto trovatogli addosso per sviare le indagini. Quindi fanno a pezzi il cadavere e raccolgono tutto in un sacco, che gettano infine nella chiavica d’un condotto del quartiere ebraico.
Intanto il domestico Ebrahim Amarah, non vedendo rientrare il Padre, pur essendo l’ora tarda, va alla ricerca di lui presso la casa di Arari. Qui qualcuno lo aspettava: afferrato da un altro gruppo di carnefici, fu scannato anche lui e ne raccolsero il sangue.
La scomparsa dei due fu riferita al Console francese Conte De Ratti Menton Ulisse, il quale fece rapporto scritto al Governatore Generale di Damasco, chiedendo che si facessero delle indagini. Furono quindi trovati i resti di P. Tommaso e riconosciuti come suoi.
La comunità cristiana di Damasco qualificò l'assassinio di P. Tommaso come un omicidio rituale da parte degli ebrei, irritati perché Tommaso aveva avuto l'ardire di affiggere, proprio fuori della sinagoga, un avviso relativo a una vendita di beneficenza.
I funerali si svolsero in forma solenne il 2 marzo nella chiesa dei Minori Osservanti perché più spaziosa. I resti mortali del padre furono poi deposti accanto all’altare di S. Elia e quindi collocati entro un’arca di marmo appositamente preparata, sopra la quale il P. Francesco da Ploaghe fece apporre un’iscrizione in lingua araba e italiana indicante la presenza dei resti mortali di P. Tommaso (D.O.M. Qui riposano le ossa del P. Tommaso da Sardegna Missionario Apostolico Cappuccino Assassinato dagli Ebrei il giorno 5 febbraio dell’anno 1840).
Fu poi celebrato il processo a carico di alcuni ebrei che erano ritenuti i responsabili dell’efferato delitto. Le notizie della morte tragica di padre Tommaso e dell’inizio della lunga istruttoria del processo, che durò parecchi mesi (con undici ebrei successivamente incarcerati – uno morirà a causa delle torture –), oltre all’interesse della stampa di tutto il mondo (con centinaia, poi migliaia di articoli) suscitarono viva emozione presso le organizzazioni cristiane e presso gli organismi istituzionali non solo in Italia (il ministro degli esteri del regno di Sardegna, Solaro della Margherita, commentò la vicenda con parole di fuoco), ma in tutta l’Europa, facendo però venire alla luce – dicono gli storici – «oltre al legittimo sconcerto, un radicato atteggiamento antisemita nel nostro Paese».
Lo studioso Massimo Introvigne, recensendo il bel volume di Jonathan Frankel «The Damascus Affair», scrive: «Il mondo che ruota intorno al caso di Damasco – un giallo senza soluzione, anche se Frankel, come probabili assassini di padre Tommaso e del suo servitore, punta il dito su commercianti musulmani con cui aveva avuto un diverbio – sembra così talora un mondo alla rovescia, dove i “reazionari” aiutano gli ebrei e i “progressisti” – dal liberale Thiers a Marx – credono alle accuse di omicidio rituale o le utilizzano per i propri fini. Frankel non difende certo, nel suo volume, la Chiesa cattolica in quanto tale: lamenta, per esempio, l’assenza di reazioni romane contro un documento colpevolista del patriarca greco-cattolico di Damasco, Maximos, e il fatto che una lapide che definisce padre Tommaso “assassinato dagli ebrei” non sarebbe stata ancor oggi rimossa. Causa celebre per eccellenza nella storia dell’antiebraismo – Adolf Hitler voleva trarne un film, e ancora nel 1992 il delegato siriano a una conferenza dell’ONU sui diritti umani la citava come esempio evidente di perfidia ebraica –, la vicenda di Damasco mostra però, nell’analisi di Frankel, come parlare semplicemente de “i cattolici” quando si esaminano i colpevoli e le responsabilità nella transizione dall’antigiudaismo all’antisemitismo rischi di essere semplicistico e fuorviante. Di fronte a un momento di crisi come quello di Damasco la religione s’intreccia con la politica internazionale, e il mondo cattolico non appare come un monolito, ma piuttosto come un campo complesso in cui si confrontano posizioni diverse».
I cristiani d’Oriente, negli anni successivi al 1840, continuarono a pagare un prezzo altissimo, soprattutto a Damasco: si calcola che, in due mesi di furiose distruzioni, nella seconda metà dell’anno 1860, nella regione di Damasco e in Libano, morirono almeno 25 mila cristiani.
Qui si tralascia ogni considerazione circa la responsabilità degli accusati e della loro condanna. Il fatto ebbe comunque grandissima risonanza presso le cancellerie europee e presso l’opinione pubblica internazionale. Sul delitto e sui responsabili esiste una abbondantissima bibliografia. Segnaliamo, fra le altre pubblicazioni, “Aceldama” [ossia / processo celebre / istruito contro gli ebrei di Damasco / nell’anno 1840 / in seguito al doppio assassinio rituale da loro consumato / nella persona del / padre TOMMASO DALLA SARDEGNA / missionario cappuccino / ed in quella del suo garzoncello cristiano / EBRAHIM AMARAH / all’unico scopo di avere il loro sangue. ] Con documenti relativi ed appendice storica / Cagliari-Sassari / Premiato Stab. Tipografico G. Dessì / 1896» (edito anonimo dal padre Atanasio da Quartu).
Cito, per concludere, quanto scrive D. Savino: “Al di là di tutto infatti una cosa e solo questa resta da spiegare: cosa ci facevano dei resti di carne umana, riconosciuti essere tali da quattro medici francesi e da sette medici arabi, nel Maleh (il canale di scolo che passava sotto la casa degli ebrei) e proprio nel luogo in cui alcuni degli imputati avevano detto essere stato ammazzato il Padre Tommaso? Chi aveva scaricato lì quei miseri resti mischiati a pezzi di stoffa dei suoi vestiti bruciacchiati? Se non erano stati gli Ebrei ad ammazzare Padre Tommaso, com’è che sapevano che i resti maciullati del suo corpo erano lì? È vero: le deposizioni erano state estorte con la tortura, ma sembravano corrispondere all’evidenza dei fatti.” (D. SAVINO, Omicidio rituale ebraico, p. 212)
P. Tarcisio Marco Mascia
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